2 agosto. A Bologna ho perso mio fratello e la felicità.

 Intervista a Cristina Caprioli.

Io da quel momento ho perso la capacità di essere felice. Ho nelle narici odori che noncaprioli 5 penso andranno mai via. Quando sono scesa all’obitorio dell’ospedale Maggiore c’erano corpi ovunque e c’era un odore tremendo, di carne bruciata. Ogni corpo era un riconoscimento e ad ogni riconoscimento erano urla impressionanti. Mio fratello aveva il numero 8: non so dire se fosse un cartellino, ma me lo ricordo bene questo numero. Steso accanto al suo corpo c’era quello di un ragazzo giapponese che, come lui, aveva vent’anni. Davide aveva la testa aperta come una noce, con un taglio che partiva dalla fronte e finiva alla nuca.

Il suo viso però era ancora rosa. Quando lo vidi sapevo, dentro di me, che era lui. Ma di fronte all’infermiere che mi aveva accompagnato per il riconoscimento dissi solo ‘mi pare lui….’. Con un senso di rifiuto. Perché era qualcosa di inaccettabile vedere mio fratello così: morto, ammazzato, privato di ogni dignità. Il suo andarsene è stato troppo violento. E anche se dopo quel giorno la vita ha proseguito il suo cammino dandomi due figli bravissimi, il primo l’ho chiamato Davide, da quel momento non sono stata più felice. Ho sempre paura che possa succedere loro qualcosa. E ora che ho anche una nipotina e che ci ritroviamo ogni giorno a fare i conti col terrorismo, questo pensiero diventa ancora più forte. Anche se al tempo stesso penso che rivivere di nuovo questa lotteria alla rovescia sia difficile. L’unica cosa di cui sono sicura è che Davide non deve morire”.

Il terrorismo, per chi resta, rimane sulla pelle, nel naso, nell’anima.

Nella vita di Cristina Caprioli il terrorismo è come una linea continua che è partita 36 anni fa e non conosce capolinea. La strage di Bologna del 2 agosto 1980 rimane, tra le pagine tragiche del nostro Paese, quella che con maggior forza e violenza ha colpito l’anima di un Paese. Ed oggi ‘che ci ritroviamo ogni giorno a fare i conti col terrorismo’ la sua attualità diventa prorompente.

Nella libertà violentata di un sabato estivo di 36 anni fa, nel via vai spazzato via di italiani, tedeschi, francesi, inglesi, spagnoli, giapponesi, che alle 10.25 si trovavano in quella stazione ferroviaria per transitare lungo la normalità di una meta vacanziera da raggiungere o appena lasciata, si ritrovano quelle stesse libertà, quelle stesse normalità che oggi diventano carni da macello, prese a caso, da Parigi a Nizza, da Bruxelles a Monaco.

Le possibili analisi sulle diverse matrici politiche, sulle diverse logiche eversive e sovversive, nazionali o internazionali, non scalfiscono una linea di continuità che lega quel 2 agosto a questa estate di sangue e paura. Perché la matrice di quanto resta, in chi resta, è sempre quella del dolore e del terrore. Da subire e contro il quale reagire. Per quanto è possibile fare.

caprioli 10“Non cambia niente rispetto al terrorismo di allora – dice Cristina – e me ne accorgo guardando al numero crescente di persone che ogni anno partecipa alle iniziative in ricordo delle vittime del terrorismo. Di fronte a questa nuova stagione di morte cresce la voglia della gente comune di dire basta, di dire che ‘ci siamo anche noi, piccoli, che non contiamo. Ma che vogliamo fare una vita normale, una festa, una passeggiata e non vogliamo essere carne da macello’.

Ogni anno, in questi giorni, Cristina è impegnata nell’organizzare e partecipare alle tante staffette che toccano le tappe della memoria: Piazza Fontana e via Palestro a Milano, Piazza della Loggia a Brescia, la stazione di Bologna. “Con ogni mezzo, dalle biciclette alle moto, persino in canoa o a piedi. La voglia di avere voce e di parlare diventa un’esigenza che non è solo di chi ha perso un pezzo della propria vita”.

Chi era Davide?

“Era un generoso, una persona speciale che non litigava mai con nessuno. Ancora oggi i suoi amici e i compagni di scuola lo ricordano così. Lui è l’unica tra le 85 vittime di Bologna ad avere un sito internet dedicato e lì dentro ci sono i ricordi di chi lo ha conosciuto. Io e Davide eravamo sempre assieme, era il mio fratello più piccolo e lo seguivo tanto, perché i miei genitori lavoravano entrambi. Alla sera facevamo le battaglie dei cuscini o giocavamo a ‘chi primo ride, perde’. Era mio fratello, era speciale. Ognuno ha il suo destino, però… Me l’hanno violentato con quella morte….”.

La mattina di quel 2 agosto Davide si trovava alla stazione di Bologna assieme alla sua ragazza, Ermanna. Erano di ritorno da alcuni giorni di villeggiatura al Conero, trascorsi proprio assieme alle rispettive famiglie e a Cristina che allora aveva 24 anni e che da poco si era sposata, trasferendosi da Verona ad Ancona.

“La sera prima, il 1° agosto, eravamo tutti assieme a mangiare pesce ‘Dalla Quinta’, a Fano. C’era tanta felicità. La mattina dopo Davide e la sua ragazza sono partiti all’alba, col treno. A Bologna arrivarono però in ritardo e persero la coincidenza. Al momento dell’esplosione si trovavano al bar laterale del primo binario. Ermanna si è salvata. Davide invece, che in quel momento aveva girato l’angolo per andare a vedere il tabellone degli orari dei treni, no. E pensare che se non ci fosse stato quel ritardo, avrebbe raggiunto Verona alle 10.24, un minuto prima della bomba…”.

Destini, coincidenze, minuti, metri. Ermanna riesce a chiamare le famiglie al telefono, a dire di quel finimondo, a dire che non trovava Davide, a lanciare il suo aiuto: “Stavamo andando tutti al mare, io ero completamente vestita di rosso… sangue. Sono partita immediatamente con mio marito e quando sono arrivata alla stazione un poliziotto mi ha accompagnato al primo binario, alla ricerca di mio fratello. Sentivo il gelo del silenzio, malgrado il caldo tremendo e il rumore: pianti, urla, immersi in un enorme polverone dal quale si intravvedevano a malapena le persone. Avevo le gambe inchiodate, procedevo attaccandomi alla cintura del poliziotto che mi chiedeva se riuscivo a vedere Davide. C’era sangue ovunque e altri odori che non mi vanno mai via dal naso. A un certo punto spuntò un elenco di nomi: accanto a quello di Davide vidi un segno +, ma non lo interpretai come una croce: era lo stesso rifiuto che avrei provato poco dopo all’obitorio. E mi aggrappavo alla speranza che in quell’autobus numero 37 che trasportava i cadaveri all’ospedale Maggiore, ma che mi dissero trasferisse anche i feriti, ci fosse Davide ancora vivo”.

Per Cristina, ancora oggi, il capolinea delle ricerche è come se non fosse ancora finito. Ancora oggi è alla ricerca di quel poliziotto e di quell’infermiere che il destino ha voluto metterle accanto in quei momenti. Pochi mesi fa si è rivolta anche alla trasmissione ‘Chi l’ha visto?’ per ritrovare quelle persone, “per dire a loro un grazie”, e per riconquistare un pezzo di umanità in quella tragedia disumana.

Cos’è il terrorismo?

“Il terrorismo, di ieri e di oggi, ha come obiettivo quello di portare tutti alla divisione e all’individualismo. Una delle cose essenziali per combatterlo è la cultura del rispetto, l’essere solidali. Bisognerebbe ritrovare il rispetto, a cominciare da quando ci si mette in macchina alla mattina, quando la gente per strada sembra impazzita. La sopraffazione, la violazione quotidiana delle regole e della dignità degli altri è un terreno che diventa pericoloso perché favorisce chi agisce con la logica del terrore. E l’impegnarsi in prima persona per creare oggi, sempre di più, forme di solidarietà tra tutti, diventa il miglior antidoto alla paura. Non dobbiamo avere paura ma credere in noi stessi, nella dignità. In questo lavoro anche l’informazione deve impegnarsi contro quelle deformazioni che portano ad esaltare la paura, a rafforzarla, lasciando in secondo piano ogni notizia che faccia trapelare invece i segnali della voglia di reagire e della voglia di vivere”.Caprioli 2

La voglia di vivere di Davide ha la forma di una chitarra…

“Davide amava la musica. A dieci anni ha iniziato a suonare con la mia chitarra ed era un rockettaro dentro, anche se lavorava con un’orchestra di ballo liscio. Contemporaneamente studiava: si era iscritto ad Economia e Commercio. La chitarra che portava con sé il 2 agosto è rimasta intatta dall’esplosione.
Ed ogni 2 agosto viene portata e suonata alla stazione di Bologna…”.

Cristina non ha voglia di parlare di Stato, di politica, di giustizia, di depistaggi (proprio il 2 agosto di quest’anno entra in vigore la legge che introduce il reato) e di quanto è accaduto in questi 36 anni, non ancora sufficienti per individuare i mandanti della strage: “Quello che ci hanno portato via non è comunque ripagabile. Ma devo anche dire che ci sono state, ad ogni livello, tante persone oneste che si sono date da fare per ottenere giustizia e rispetto della dignità delle vittime e delle famiglie. Personalmente, nel cuore, conservo la figura di Mario Amato, il magistrato che attraverso le sue indagini, nel giugno 1980, aveva lanciato un pesante allarme su quanto poi sarebbe accaduto a Bologna. E’ stato lasciato solo, senza protezione, ed è stato ammazzato il 23 giugno di quell’anno per mano di Gilberto Cavallini e di quel Luigi Ciavardini che poi è stato condannato a 30 anni per la strage di Bologna. E penso anche a persone instancabili come Evandro Lanzani, ideatore della staffetta Milano-Brescia-Bologna, scomparso purtroppo nei mesi scorsi. Sicuramente, se devo pensare alle cose più irrispettose, penso all’immagine che mi venne raccontata da amici di Roma. Ovvero all’allegria di Francesca Mambro e Giusva Fioravanti (i due neofascisti condannati all’ergastolo) mentre sorseggiavano cappuccini al bar”.

Hai perdonato?

“No. Anche perché nessuno ha avuto l’umiltà di chiedere scusa. Nel frattempo mia mamma, che ha 84 anni, piange mio fratello tutte le notti da quando è morto. Non oso pensare a cosa stanno subendo i familiari delle persone che sono state ammazzate in questi mesi di terrore. Invece di diminuire, il dolore di mia madre aumenta. E, con il dolore, il desiderio di morire”.

Come un capolinea da cui scendere per ritrovare Davide e un mondo senza terrore.

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