Andrea Vecchiato

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Text and Photos By Andrea Vecchiato

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Ormai la fotografia è il comune denominatore della mia vita. Connette tutte le persone a cui voglio bene. Se voglio conoscere una persona le chiedo di posare per me. La fotografia crea ponti immediati, realizza un’intimità istantanea, magari anche un po scomoda poichè così accellerata, ma comunque vera. Mi sembra fosse Anais Nin, ma potrei sbagliarmi, che disse “Non vediamo le cose per quello che sono, ma per come siamo noi”, e penso sia particolarmente vero del mio lavoro.

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Mi chiedo spesso quanto di mio proietto sui miei soggetti o quanto di me vedo riflesso nelle mie amicizie. Sono una di quelle persone che crede ormai che le amicizie, qualsiasi durata debbano avere, siano più importanti della famiglia tradizionale. Il sangue puo essere una fottuta catena. Il DNA una dannata maledizione. Un tempo avrei detto che il tema del mio lavoro era l’incesto tra memoria e desiderio. Adesso direi che la memoria sta scomparendo completamente dalla mia paletta. Non voglio che ci sia manco uno sbavo di nostalgia in quello che faccio. La nostalgia è tempo sprecato. Una pugnetta. Quando invece faccio ritratti per conto di una rivista allora cerco che la fotografia diventi un indagine psicologica del soggetto. Voglio sempre svelare qualcosa di nuovo che ad altri fotografi sia sfuggito.

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Un po mi scoccia che la gente si soffermi solo sul mio nudo, e non si accorga del mio lavoro a sfondo più ‘giornalistico’. Le intenzioni o motivazione sono sempre le stesse che io fotografi un corpo perfetto o un corpo menomato da una mina da terra. Spero che non ci sia niente di masturbatorio in entrambi i casi.L’altro giorno una truccatrice durante un servizio mi ha detto che si sentiva una vouyer mentre esplorava il mio sito, e mi ha chiesto se era un effetto intenzionale. Purtroppo mi toccò accettare che la risposta era si. Naturalmente spero sia un vouyerismo più Hitchcockiano che alla Tinto Brass!

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Ho deciso di cominciare a tenere un blog, per quanto impegnativo sia, per soddisfare certe mie velleita’ di diarista. Con DREYSLAND combino un foto diario della mia vita con i miei pensieri riguardo all’era digitale. Quando girai LUMINAL in alta definizione fui il primo a girare con la Panasonic HDD5. Mi sentivo cosi (senz’accento) fiero di essere un pioniere, e di sfatare tutti i luoghi comuni sull’alta definzione e la sua mancanza d’anima et cetera, e forse proprio per questo invece fui trattato come un criminale. La fotografia grazie al digitale non e’ piu’ un impressione, ma accurata ricostruzione numerica della realta’, quanto per quanto. Non manipola emotivamente giocando sulla morbidezza dell’immagine e quindi costringendo la memoria a fare varie associazioni con il passato. Il digitale ci ancora al presente.

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