Come molti ricorderanno, l’operazione più grave messa in atto dalla polizia e condivisa da Merola è stata lo sgombero della palazzina Ex-Telecom nel quartiere della Bolognina, la quale ha portato centinaia di famiglie con bambini a doversi barricare dentro lo stabile, in quanto prive di ogni prospettiva rispetto al proprio imminente futuro abitativo. Quanto avvenuto quel giorno tuttavia dimostrò come Bologna abbia da sempre grandi anticorpi, infatti, dopo poche ore, sotto il palazzo si formò un grande presidio di solidarietà, che più volte subì cariche da parte del reparto celere durante la giornata.
L’ex-Telecom fu sicuramente l’episodio più eclatante, ma molti altri si susseguirono tra il 2015 ed oggi. Nelle ultime settimane inoltre si è venuti a conoscenza della previsione di sgombero per l’Ex Mercato Fioravanti (XM24) per il giugno p.v. e la successiva dichiarazione del sindaco rispetto alla volontà di adibire successivamente lo spazio a sede di una caserma.
È quindi palese a chiunque viva a Bologna che sia da tempo terminata l’ora del dialogo e della ricomposizione politica, ed al suo posto abbia preso vita una linea dura che vede nella repressione l’unica forma di risposta a situazioni complesse intrecciatesi indissolubilmente con il passare degli anni.
La marginalità sociale, lo spaccio, quello che viene definito ‘degrado’ caratterizza la zona universitaria ormai da decenni, Piazza Verdi e Via Zamboni sono spazi fisici che contengono numerose anime e contraddizioni, ma sono sempre state e continueranno ad essere prima di tutto luoghi di cultura e liberi saperi, luoghi di aggregazione sociale e politica.
Tuttavia l’Ateneo ha ritenuto opportuno vincolare l’entrata alla biblioteca del civico 36 di Via Zamboni mediante dei tornelli che possono essere aperti unicamente con il badge universitario.
Tanti si chiederanno quale sia il problema. Il problema è che molti studenti in queste ultime settimane hanno riconosciuto i tornelli come un’imposizione dell’ateneo volta a vincolare la libertà culturale, volta a rendere l’università uno spazio chiuso solo a chi paga le tasse.
Questo però, per gli studenti che si sono organizzati in assemblee molto partecipate, va a scontrarsi con l’idea di istruzione pubblica come fondamenta di una società democratica.
Queste discussioni hanno portato gli ‘Gli studenti del 36’ a convocare il 9 febbraio alle 13 una grande assemblea nella quale è stato deciso di smontare i tornelli e riaprire a tutti la possibilità di entrare in aula studio.
Alle 17 dello stesso giorno il rettore Ubertini ha permesso al reparto celere di fare irruzione all’interno dell’aula studio e di caricare gli studenti, che stavano leggendo i loro libri, i quali si sono difesi come hanno potuto e sono riusciti a scappare da una porta secondaria.
È stato a quel punto che la situazione si è fatta sempre più tesa, la polizia ha continuato a caricare gli studenti all’esterno, i quali hanno rovesciato i bidoni del vetro e cominciato a lanciare le bottiglie contro la polizia, la quale per tutta risposta ha fatto irruzione con i blindati in piazza Verdi, contro 400 studenti. La guerriglia ha coinvolto bar e vari esercizi commerciali, e si è spenta sotto le continue cariche, dopo ore di tensione.
Alla luce di questi fatti è stato indetto un corteo per il giorno successivo (10 febbraio) che con concentramento alle 16 ha attraversato la città e successivamente, tornato in Piazza Verdi, con il consenso di più di mille persone, ha cercato di dirigersi sotto il rettorato in via Zamboni, dove si è nuovamente impattato con la polizia. Tuttavia ciò non ha spaventato gli studenti che hanno continuato la manifestazione lungo le arterie principali di Bologna, passando per Via Mascarella, dove l’11 marzo 1977 fu ucciso dalla polizia lo studente Francesco Lorusso, in occasione di proteste analoghe, contro un’amministrazione comunale (PCI) che aveva chiuso ogni forma di dialogo e aveva acceso le dure proteste degli studenti, sfociate successivamente nella lotta armata.
I fatti di questi giorni sono solo l’inizio di una lotta che durerà molti mesi fino a quando le posizioni continueranno ad attestarsi su un conflitto continuo. Questa situazione dimostra pertanto che, a distanza di quarant’anni, si assiste ad un ciclico ribaltamento politico dettato dalla mancanza di risposte concrete e dalla decisione di usare la repressione come unica forma di risoluzione dei conflitti.
Fotografie di Saverio Buendia