La mattina del 22 marzo abbiamo assistito all’irruzione prepotente ed immotivata del reparto celere all’interno della facoltà di Scienze Politiche a Bologna, che con cariche violente ha impedito ad un collettivo di ragazzi di occupare un aula ed intitolarla alla memoria di Giulio Regeni, giovane ricercatore friulano torturato ed ucciso in Egitto in circostanze non ancora chiarite.
Questo evento non è che l’ultimo di un escalation di repressione alla quale abbiamo assistito a partire dal sequestro della famosa Aula C avvenuta l’11 Maggio 2015, su provvedimento di sequestro del Tribunale del Riesame di Bologna. La famosa Aula C venne occupata e dichiarata aula autogestiva dai collettivi anarchici e di sinistra nel 1989, divenendo spazio fisico colmo di saperi che dal basso prendevano il loro posto nell’università più antica del mondo.
Si parla di anni in cui le contestazioni, i dibattiti, i cineforum, i seminari autogestiti erano il pane quotidiano di una Bologna libera e pensante, critica e rivoluzionaria, nella quale i giovani che frequentavano l’università (e non) prendevano voce, ben consapevoli che l’impegno politico era parte integrante del loro essere e della costruzione dei loro saperi.
Con il passare degli anni abbiamo tuttavia assistito a mutamenti sociali e culturali repentini, che hanno pervaso ogni ambito di vita, da quello macro politico ed economico, a quello più strettamente intimo e personale, passando ovviamente per la disintegrazione di quelle spinte che univano in passato i giovani a discutere in grandi assemblee partecipate riguardo alle tematiche più importanti.
Considerando quanto detto, l’Aula C infatti non era più un luogo riconosciuto dagli studenti che popolano la facoltà di Scienze Politiche, i quali si limitavano a sapere della sua esistenza ventennale, e i più temerari si addentravano per uno sguardo, più curioso che politicamente coinvolto.
Fino a quel momento quindi vi era una pacifica convivenza tra il collettivo e gli altri studenti, che sicuramente apprezzavano le numerose feste serali organizzate all’interno di Strada Maggiore 45, fino al giorno del sequestro dell’Aula.
I problemi nascono sicuramente dal 20 maggio, data in cui i ragazzi del collettivo, in tutta risposta al sequestro della loro roccaforte, decidono di riempire il palazzo di scritte inneggianti alla ribellione, all’anarchia e alla non proprio amicizia con le forze dell’ordine.
Da quando in qua delle scritte sui muri sono un problema a Bologna?
Dal giorno in cui i ragazzi, che tutti i giorni attraversano l’università per andare a lezione e riempire quegli spazi di socialità, non riconoscono più quelle scritte, non le condividono, non le sentono loro e anzi, le odiano e sono arrabbiati con coloro che le hanno fatte. Non c’è solidarietà dietro quell’atto di protesta perché è l’atto di poche anime che stanno giocando da sole contro un sistema molto più complesso e fagocitante.
Poi, le azioni di altri collettivi come il Collettivo Universitario Autonomo e Hobo (entrambi vicini all’area autonomi/anarchici, anche se affermare ciò risulta riduttivo e semplicistico rispetto alla costellazione di sfumature presenti in un movimento così ampio) riprendono con l’inizio del nuovo anno accademico, e si concentrano sull’ingiusta esclusione dalle fasce contributive delle borse di studio come effetto delle nuove regole dell’ISEE introdotte dal governo Renzi.
E’ evidente che le rivendicazioni del collettivo sono giuste, giustissime, perché si sta ledendo il diritto allo studio, conquistato con le lotte di cui si parlava all’inizio.
Ma è altrettanto evidente che non si stanno percorrendo i canali di comunicazione adatti con chi è il diretto interessato alle problematiche citate: gli studenti che tutti i giorni vanno a lezione. L’escalation prende vita con l’inizio del secondo semestre, quando i collettivi prendono di mira il Professor Panebianco, additato di essere un “barone dell’università guerrafondaio” per le sue dichiarazioni come editorialista del Corriere della Sera, inneggianti all’intervento militare italiano in Libia. Le lezioni del professore vengono quotidianamente boicottate, con l’affissione di striscioni e proteste rumorose.
Le proteste hanno avuto subito un’elevata rilevanza mediatica sulle testate e televisioni nazionali, e ciò ha portato ad una dovuta presa di posizione da parte di tutto il corpo docente accademico tramite la realizzazione di una lettera di solidarietà a Panebianco, che per loro veniva leso nella sua democratica libertà di espressione (anche se mi viene spontaneo domandarmi se questi docenti non si siano dimenticati per caso che l’Italia ripudia la guerra, ma vabbè).
Inoltre la situazione ha innescato la presenza quotidiana di agenti in borghese all’interno della facoltà. Nelle settimane la presenza delle forze dell’ordine fuori e dentro l’università, in borghese e in antisommosa, si è faceva sempre più massiccia e contemporaneamente il malcontento degli studenti cominciava a crescere esponenzialmente.
Il quanto è culminato in data 22 marzo quando il collettivo Hobo decide di entrare in un’aula intitolandola alla memoria di Regeni e occupandola. Fin da subito però quest’ultimi non si comportano in modo adeguato agli occhi dei presenti, in quanto senza nessun consenso (anzi, in un veramente esiguo numero di ragazzi) decidono di irrompere nella portineria e successivamente nell’aula (in quel momento chiusa e vuota).
Da quel momento la situazione peggiora fino all’intervento repressivo del reparto celere che indiscriminatamente comincia a manganellare i presenti (del collettivo e non solo) nell’atrio della facoltà.
L’università è un luogo di formazione, di condivisione, di socialità e dove tale socialità è politica, poiché tutto è politica. La diffusione dei saperi non può essere bloccata, impaurita, repressa e calpestata con la presenza incombente di forze dell’ordine che, il giorno in cui ti va bene, ti fanno da filtro mentre entri a lezione, e il giorno in cui ti va male ti spezzano un braccio con il manganello.
La libertà non può essere uccisa in questo modo, mai, e a maggior ragione non all’interno di un’università. Dei collettivi, anche se poco riconosciuti dagli studenti, devono avere il diritto di poter esternare le proprie idee, devono aver diritto di protestare e non per questo sentirsi insicuri in quella che è la loro seconda casa.