Massimo D’Alema.
Lo scontrino sbandierato in tv da Pina Picierno per dimostrare che “con 80 euro al mese si fa la spesa per due settimane”. Il #ciaone di Ernesto Carbone, spernacchiato in faccia agli sconfitti nel referendum sulle trivelle. E poi le emoticons viventi, Alessia Morani e Alessia Rotta, che usano il loro repertorio di faccine come argomento forte da contrapporre agli interlocutori nei salotti da talk show.
E ancora i diktat da gendarme di Debora Serracchiani sulla minoranza dem, le migliaia di tweet di peones che sfruttano ogni zerovirgola dell’Istat per propagandare le riforme, le magistrali lezioni, che hanno il ritmo dell’imparato a memoria e la cadenza da automa, di Maria Elena Boschi. Non da ultime le altrettanto spocchiose lezioni di democrazia, snocciolate a braccio teso dai sostenitori della limitazione del diritto di voto all’indomani della vittoria della Brexit: antipasto della caccia agli ignoranti che oseranno votare no al referendum costituzionale.
Renzi sarà pure un cavallo di razza. Ma i volti, frutto della sua rottamazione ed emersi prepotentemente in questi due anni e mezzo di potere, sono questi: messi assieme creano una galleria di presuntosi, altezzosi, antipatici e boriosi. Messi assieme fanno insomma un Massimo D’Alema. Con la differenza che per fare lo spessore di un Massimo D’Alema, non basterebbero dieci eserciti di pasdaran renziani. Anzi, più il loro vociare si alza di volume e più si percepisce il vuoto della rottamazione e il pieno di chi, in questi giorni, non a caso è stato inseguito da stampa e tv per lasciare traccia di qualcosa di sensato. Discutibile, criticabile, opponibile. Ma dotato di contenuti.
Dalle elezioni amministrative nelle grandi città alla crisi del PD, dal referendum costituzionale di casa nostra a quello che ha sancito l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa. Da Donald Trump alle sciagure del terrorismo internazionale. Scenari, focus sul mondo, sull’Europa e sull’Italia. Riflessioni, retroscena, interviste, interviste, interviste. Massimo D’Alema è di nuovo superstar. Ma anche Romano Prodi non scherza e pure Bersani continua a difendersi, così come gli editoriali di Veltroni. Più le questioni si fanno complesse e più la vecchia guardia, come si diceva una volta, torna a dare linee.
La rottamazione che ha fatto flop si vede nel mondo dell’informazione che restituisce voce ai rottamati non solo per scatenare gustose guerre anti-renziane ma per ottenere qualcosa di diverso dal vuoto di pensiero che è salito al potere o attorno al cerchio di potere, nel PD. Quando le questioni si fanno serie l’autorevolezza dell’informazione deriva dall’autorevolezza degli interlocutori che si scelgono: limitarsi all’ideologia del #ciaone sulla #Brexit e alla propaganda da pappagalli è un autogol.
La rottamazione che ha fatto flop sta anche nella percezione di chi ascolta, legge e che in maniera sempre più crescente torna a riconoscere spessore alla vecchia guardia. Malgrado i fallimenti passati, malgrado le antipatie, malgrado siano vecchi. Se non altro perché, se proprio è inevitabile sentirsi dare del cretino ed essere sbeffeggiati, vale almeno il diritto di sentirselo dire da qualcuno che, senza dirtelo, te lo fa pensare. Autorevolezza, insomma.
Un po’ come accadeva con le vecchie classi dirigenti, quelle che salivano al vertice dopo una lunga scalata, partendo dal campo base, e non dopo una montagna di slogan declamati, ovviamente bene e in modo fulmineo, in televisione. Un tempo era il percorso che garantiva autorevolezza a chi arrivava al vertice.
Renzi ha rotto questo schema, legittimamente, in nome del rapido rinnovamento della politica e del Paese. Ma così facendo ha trainato dietro di sé una cordata di persone scaricate al vertice senza aver scalato neppure un gradino. Una classe dirigente che non ha scalato un vertice ma lo ha conquistato abbattendolo assieme alla montagna. Non è un caso il cedimento strutturale del PD e il suo ritrovarsi oggi rappresentato da esponenti che, messi assieme, disegnano un vertice dalla dimensione terra-terra.
Renzi, all’indomani dei risultati delle amministrative che ha visto il PD soccombere a Roma, Torino e Napoli, e nella prospettiva del referendum costituzionale, si è lasciato andare ad un “ho rottamato troppo poco, devo mettere da parte la vecchia guardia”: un’evidente ammissione di flop della rottamazione.
Peccato che il problema non sia di quantità e non sia la vecchia guardia. Diciamo…