Un nome evocativo, che sa di maschile e di femminile e che corrisponde all’estetica di un brand che va oltre la specificità di genere. In un momento in cui da più parti si parla, appunto, di genderless e della voglia di molti creativi di superare certe specificità del vestire, EDITHMARCEL ha un approccio al tema giovane e anticonvenzionale, con una chiara attitudine all’evoluzione, al nuovo, per proporsi come alternativa alle distinzioni, alla separazione e alle convenzioni.
Fondatori del marchio due designers Andrea Masato e Gianluca Ferracin, che hanno portato le loro proposte con successo all’ultima edizione di Pitti. Abbiamo raggiunto Andrea e Gianluca che, in un intreccio di parole, da duo affiatato, ha risposto alle nostre domande curiose, sul loro percorso e sulla filosofia del brand. Eccovi la nostra chiacchierata.
Come vi siete avvicinati alla moda?
Non è stata una cosa ‘cercata’. Entrambi veniamo da un background artistico, ma sempre con un interesse vivo verso il ‘fare’, e soprattutto verso il contemporaneo. È quindi stato un passaggio naturale, dalle discipline artistiche e di progetto alla moda, perché ci ha permesso di mettere in atto quello che avevamo studiato, coniugandolo alle nostre passioni e interessi.
Quando avete deciso di creare un marchio vostro e perché questo nome?
Il marchio è nato dopo una lunga riflessione: l’idea era nell’aria da circa due anni. Quando entrambi ci siamo resi conto che i tempi erano maturi, abbiamo deciso di partire, sfruttando il vantaggio di essere giovani e pronti a qualsiasi tipo di sacrificio. E dobbiamo dire che questa esperienza ci sta facendo crescere ogni giorno in maniera incredibile. Il nome è la summa del concetto del marchio: è l’unione di due nomi, Edith e Marcel, l’uno femminile e l’altro maschile. I nomi sono un omaggio a Edith Piaf e Marcel Cerdan, il pugile amore della sua vita. Ci sembrava che i due nomi insieme rappresentassero un ‘armonico contrasto’, e contenessero i due universi di cui noi sfruttiamo similarità e differenze. Con un sapore senza tempo, che non guasta.
Come vi trovate a lavorare in due? C’è una divisione dei compiti?
Non c’è divisione dei ruoli, in questo momento è necessario che tutti si occupino di tutto. Poi, è naturale che l’indole ci porti a seguire alcuni aspetti piuttosto che altri, ma sempre tenendo in equilibrio tutte le parti. Abbiamo due personalità molto diverse ed è proprio per questo che riusciamo ad incastrarci bene. Questa complementarietà si esprime inevitabilmente nei nostri capi, che sono un’unione di elementi diversi e spesso inaspettati, ma che, a livello estetico, funzionano.
Ci raccontate il vostro stile? Che cosa vi ispira? Quali le vostre icone di riferimento? Per chi create?
Non pensiamo di poter dire che il nostro stile è formato: abbiamo una precisa estetica di riferimento, ma cresciamo man mano che cresce il progetto, e questo per noi significa essere aperti a stimoli e sperimentazioni sempre nuove, che inevitabilmente influenzano lo stile di partenza, e anche quello di arrivo. Punti saldi sono comunque le linee, nette e pulite, ‘ammorbidite’ da dettagli più movimentati. Giochiamo su una fisicità indecisa, ’al limite’, che sconfina tra maschile e femminile senza scegliere una direzione precisa.
Una collezione che parla sia ad una lei, sia ad un lui, con soluzione genderless. Da quali esigenze e input nasce questo tipo di approccio?
Proprio perché ci interessa ragionare su un corpo che nega le differenze tipiche delle fisicità maschili e femminili, abbiamo cercato di lavorare fin dall’inizio proponendo qualcosa di nuovo, che incorpori degli elementi contrastanti e, allo stesso tempo, ‘scelga di non scegliere’. A-gender per noi significa assenza di genere, un nuovo stadio dell’evoluzione, che elimina i preconcetti. È una risposta contemporanea agli abiti classici, senza la pretesa di sostituirli, ma piuttosto di affiancarli, come proposta alternativa; risponde a delle esigenze vestimentarie abbastanza diffuse e che proviamo noi in prima persona.
Avete presentato la collezione all’ultimo Pitti, mi raccontate che esperienza è stata? Quanto sono importanti fiere come queste per giovani designer come voi?
È stata una bella palestra, abbiamo avuto la possibilità di avere a che fare con diverse figure, dagli editor ai buyer, e di capire le esigenze degli uni e degli altri. A livello comunicativo non è stato facile far passare il concetto di a-gender – anche se ci trovavamo nella sezione Open – ma sapevamo che, in un tempio della moda maschile quale è Pitti Uomo, non sarebbe stata una passeggiata. Siamo comunque soddisfatti per come è andata. Sicuramente le fiere sono molto importanti per le giovani realtà come la nostra, soprattutto alle prime collezioni, e Pitti ci ha dato la visibilità che serviva per ingranare, e sicuramente i riscontri positivi che abbiamo ricevuto sono stati un’infusione di fiducia.
Siete agli inizi, come pensate il fashion system italiano potrebbe aiutare di più le giovani leve come voi?
Ci sono molte iniziative che aiutano e promuovono i giovani designer in Italia. Le operazioni di scouting ci sono e funzionano, ma ovviamente quello che serve davvero è un mix di talento e duro lavoro che serve per emergere. Iniziare è un investimento notevole, dal punto di vista economico come di impegno, e se arriva il supporto delle istituzioni significa che si è nella giusta direzione. Per ora abbiamo avuto contatti con il British Fashion Council, ne siamo stati lusingati, ma rimaniamo in Italia e continuiamo a promuovere il nostro prodotto qui, almeno per ora. Le possibilità ci sono, basta essere pronti a coglierle.
Ha ancora senso il concetto di lusso? Come la pensano dei designer giovani come voi…cosa è lusso per voi?
Certo, il lusso è qualcosa di reale e concreto. Però il significato cambia, di epoca in epoca, in base alla direzione della moda, della cultura e della società. Il lusso oggi è un materiale ricercato su una forma semplice, una lavorazione particolare e ‘diversa’, un dettaglio inaspettato. Per noi il lusso sono le nostre T-shirt, cucite come camicie, oppure le nostre giacche, dove l’interno è curato nei minimi particolari, e diventa forse addirittura più bello dell’esterno.
Pensate che la gente, in un momento come questo sia ancora interessata alla moda?
Sicuramente sì, viviamo in una società ossessionata dalla superficie, dall’immagine. le persone vogliono poter scegliere, e sempre di più cercano qualcosa di nuovo, che le soddisfi a livello estetico, come di concetto. Siamo sicuri che si stia riacquistando la consapevolezza e la necessità della qualità e della ricercatezza, sia nel design, sia nei materiali. E poi, se credessimo il contrario, non avremmo fatto un affare ad avviare il nostro marchio proprio adesso!
Come vi vedete in futuro? Quali sogni vorreste realizzare?
Guardiamo a un futuro molto prossimo: stiamo lavorando alla nuova collezione e questo ci impegna mente e corpo. Ci teniamo che il lavoro sia coerente con quello che abbiamo presentato al pubblico e che, allo stesso tempo, ne rappresenti un’evoluzione. I sogni sono molti, ma sicuramente il nostro primo obiettivo è riuscire a costruire un team più completo possibile e trovare uno spazio adeguato alle nostre esigenze.