Conosco Emiliano Laszlo da qualche anno e da subito sono stato un grande estimatore della sua linea Studiopretzel. La grafica immediata che rappresenta il nome del brand mi ha conquistato con facilità, poi è stata la serietà di Emiliano a colpirmi, a incuriosirmi e a piacermi i riferimenti che venivano dalla cultura orientale e una ben poco nascosta propensione per una cura del dettaglio quasi maniacale che in una capsule di camicie ha portato il designer a ricoprire i bottoni con tessuto vintage, ammiccando ad una antica abitudine del mondo sartoriale e quasi a ricordarci che in un’epoca di fast fashion particolari come questi ci arricchiscono, ci rendono più consapevoli di quello che scegliamo e ci fanno propendere per lo stile, più che per il trend stagionale. Con piacere ho saputo che Emiliano è finalista con la sua linea, ormai una vera e propria collezione completa, all’edizione maschile del prestigioso concorso ‘Who’s on next?’, promosso da Vogue Italia e da Pitti Immagine. E a pochi giorni da questa nuova edizione della fiera fiorentina e dalla proclamazione del vincitore l’ho raggiunto per farmi raccontare come è cambiato Stuidopretzel e quali le sue aspettative. Una scusa anche per riflettere insieme sul sistema moda e sul ruolo dei giovani designer.
C’è una cosa che mi incuriosisce molto della tua nuova collezione: il legame con tuo padre. Ce lo vuoi spiegare? E ci racconti la collezione?
La collezione invernale è nata da un concetto semplice: l’uso dello stesso tessuto, declinato in capi di volumi e usi diversi. L’idea è arrivata dalla divisa che mio padre usava quando era ufficiale medico nell’esercito. Io quella divisa l’ho indossata, quando ero più piccolo, svariate volte e mi scoprivo sempre meravigliato che fossero passati tutti quegli anni, ma che il capo risultasse ancora utilizzabile, quasi indistruttibile. Da questa base sono partito per sviluppare la collezione, cambiando le vestibilità a capi più classici e investendo molta attenzione nella ricerca dei toni di colore che più si accostassero al mood iniziale. Tramite il lavaggio in vasche con enzimi naturali e l’uso di grafiche ad ispirazione giapponese, Augusto Titoni, artista poliedrico e toscano, ha messo mano alla collezione con il suo tocco inconfondibile, trattando le pezze e trasformandole, dando loro un respiro antico e profondo.
Ti conosco da un po’ di anni e osservandoti posso trovare nel tuo percorso una certa evoluzione. Da quasi capsule collection a vero e proprio brand, che è entrato nei ritmi della moda. Come è avvenuto questo cambiamento e a che prezzo? Come vedi da ‘newcomer’ questi ritmi della moda? Come sei cambiato tu in rapporto alla collezione Studiopretzel?
Mi è capitato di sentirmi fare questa domanda da ragazzi che volevano realizzare una collezione, una capsule o comunque cominciare a mettere un punto di partenza nella loro carriera. La mia risposta è sempre stata: “Ragazzi, se volete partire è necessario fare un investimento. Se non ne avete la possibilità dovete trovare qualcuno che creda nel vostro progetto. Senza una base economica iniziale è impossibile partire. Chi paga i fornitori, chi le stampe e la realizzazione dei cartamodelli, chi le fiere?”. Quando si crea una collezione ci si scontra con il complesso mondo dei fornitori e dei fasonisti. Bisogna, col tempo, trovare un rappresentante e un ufficio stampa giusti, che sostengano le idee e aiutino nella creazione, suggerendo anche, se necessario, da che parte viaggia il mercato. Tutto questo, secondo me, va considerato quando si affronta una decisione di questo tipo. Spesso si spendono soldi per niente. Si investe nella direzione sbagliata, si propongono i propri pezzi nel modo meno efficace e quindi anche viaggiare di fiera in fiera sembra inutile. il mio approccio non è cambiato però, avendo io sempre prodotto in toscana con italiani, semmai ho preso coscienza di realizzare una moda sostenibile ed etica; questo si, alla luce dei fatti, è, per quanto mi riguarda, l’importante.
Sei uno dei finalisti di “Who’s on next?”. Cosa pensi sia piaciuto di Studiopretzel e come consideri questi contest? Quale la loro importanza?
In uno scenario così appena descritto, a volte, a noi giovani è consentito di rifiatare, ma ce ne vuole, comunque, per farsi riconoscere tra mille. Sono contento dei risultati di quest’anno e spero che le soddisfazioni non siano ancora finite. Di contest di moda ce ne sono in giro, alcuni più accessibili di altri. L’importante è tentare. Sicuramente “WION?” permette, anche se non si è nel campo da tanto, di cimentarsi e di mostrare il proprio lavoro a chi in Italia conta ed è giusto che venga premiato il migliore, così come è giusto che gli addetti ai lavori, i negozi, la stampa, si interessino, con forza, a ciò che nasce nel nostro Paese, perché non si dica mai che di giovani non ce ne sono nella moda. L’esperienza conta, ma bisogna anche dare la possibilità ai giovani di farsela questa esperienza.
Pratichi arti marziali e sono sicuro, da profano e ignorante della materia, che al di là della loro valenza sportiva, ginnica, c’è tutto un mondo dietro, una filosofia. Mi dici in che modo questa interagisce e influenza il tuo lavoro?
Lo sport che pratico, il brasilian jiu jitsu, è difficile, non immediato, bisogna essere molto concentrati ogni volta, si suda, ci si rotola, ci si fa male. È uno sport che non si fa come passatempo. Mi capita spesso, il giorno dopo un allenamento, di ripensare a tecniche e a fasi di lotta. La disciplina cioè ti si attacca e ti lascia con strascichi di pensiero anche quando non la fai. Questo secondo me è importante a livello psicologico e caratteriale. Ci sono a volte momenti morti nella giornata, situazioni in cui il pensiero è libero di vagare, e se raccoglie sempre quegli stimoli si è facilitati nell’evoluzione interiore, nella crescita. Questi per me sono concetti che possono essere applicabili a qualunque disciplina o lavoro. Ci vuole passione, ma è la concentrazione che fa tutto il resto. Ed è un grandissimo aiuto.
Ti considero una persona molto introspettiva, un pensatore. So che è una domanda generica e al tempo stesso molto personale, ma sono curioso di fartela. In cosa credi? Quali sono i valori che ritieni fondamentali?
Non ho dogmi, preconcetti pochi, ma credo solo in una cosa: lo stare bene con se stessi. Questo è il primo passo da cui poi la vita prende la sue strade. Da lì si possono trovare gli ‘accessori’ che ci accompagneranno, ma senza la nostra consapevolezza siamo persi e navighiamo a vista.
Ora qualcosa di meno personale. Visto che la tua è una collezione uomo, cosa deve rubare una donna all’uomo Studiopretzel? Cosa ti piace in un uomo, in termini di stile, ma anche caratterialmente e cosa, invece, in una donna?
Per me la donna più sexy è quella che si mette una camicia da uomo dentro un pantalone con le pinces a vita alta, possibilmente con i capelli raccolti. Trovo che il guardaroba maschile si adatta perfettamente alle donne con carattere, che quasi lo devono tenere a freno, ‘travestendosi’ da uomo, lo trovo un gioco delle parti intrigante, che spesso viene tralasciato in favore di banali scosci e mostre delle proprie nudità. Invece l’uomo può mettersi (quasi) di tutto. L’importante è crederci ed essere sempre a proprio agio. l’avere stile sarà sempre il colore che andrà di più, per la prossima stagione.
Nonostante la crisi si parla di lusso e mercati del lusso. Che cosa è il lusso per te? Ha ancora senso in un momento storico come questo?
Se si parla di lusso, per come siamo oggi, bisogna parlare necessariamente di mercati e di loro diversificazione. Il mondo della moda è la cartina tornasole di come il mondo stia diventando una società suddivisa in caste. Di sicuro è un mercato importante perché muove economie e permette appunto una differenziazione nello scambio di risorse; penso per esempio alle grandi città d’arte, in cui fluiscono volentieri fluidità economiche o agli artigiani specializzati, che spesso vengono privilegiati per la loro grande manualità e diventano i veri rappresentanti del lusso oggi.
C’è tutta una generazione di giovani ed emergenti designer italiani. Come vedi questi nuovi fermenti? Chi ti piace? C’è collaborazione e supporto fra di voi?
È importante, come dicevo prima, che ci sia un riconoscimento da parte degli addetti ai lavori e un sostegno alle nuove leve. Ci deve essere una base forte su cui costruire le economie di domani. Sarebbe bello, e sto parlando dell’Italia, creare una sorta di lega giovanile (perdonate l’assonanza con il calcio) che privilegi giovani stilisti che stanno cercando di crescere, che li supporti economicamente o che dia loro gli strumenti, materiali, per poter eccellere. È necessario cioè coltivare i ‘pulcini’, farli rimanere nel nostro Paese, perché diventino i nuovi trascinatori e non farli scappare dove ci sono aiuti statali o privati più forti. Penso ad Andrea Incontri, Lucio Vanotti, ad Andrea Cammarosano: i fenomeni di oggi e i punti di riferimento di domani.
Cosa ti auguri per il futuro? Come lo vedi e soprattutto come vedi la nuova generazione di creativi proiettata in un domani…e tu fra loro?
Con il cuore in mano, ammetto che vorrei una collocazione sul mercato più stabile, che mi permetta di continuare ad investire sui miei progetti in maniera sempre più importante. Questo è un augurio, ma la situazione non mi spinge a pensare positivo. Non vedo le volontà perché l’imprenditoria in Italia possa realizzarsi appieno. Spero, sinceramente, di sbagliarmi dicendo questo. Spero di arrivare ad un punto in cui riuscirò a creare quello che ho in testa senza vincoli di sorta.