Per la prima volta 5.000 metri quadrati di Palazzo Grassi e Punta della Dogana, le due sedi della Pinault Collection, sono state affidate ad un singolo artista, Damien Hirst, sancendo la collaborazione di lungo corso tra quest’ultimo e François Pinault.
Treasures from the Wreck of the Unbelievable, la cui realizzazione si è protratta lungo 10 anni, intende raccontare la storia dell’antico naufragio della grande nave Unbelievable (Apistos in greco) e ne espone il carico riscoperto: l’imponente collezione appartente al liberto Aulus Calidius Amotan, conosciuto come Cif Amotan II, destinata a un leggendario tempio dedicato al Dio Sole in oriente.
A metà tra mito e realtà, storia e leggenda, il percorso espositivo strabilia lo spettatore trovatosi di fronte a un insieme di opere incomparabili per la preziosità dei materiali (malachite, giada, lapislazzuli, cristallo, oro, argento, marmi) e il grado di perfezione della realizzazione. Il tutto è aiutato da un contesto impareggiabile: Venezia, potenza tradizionale navale, e Punta della Dogana e Palazzo Grassi, nei quali l’onnipresenza dell’acqua gioca un’ulteriore suggestione così come la pregnanza storica dei due siti, rispettivamente deposito di mercanzie giunte via mare e palazzo di ricchi mercanti.
L’esposizione sprigiona una tale dose di energia, di rimandi filosofici, antropologici, sociologici e infinite connessioni sia al mondo delle origini che a quello contemporaneo, sfiorando dimensioni teologiche, fenomenologiche e percettive che risulta impossibile svelarne qui appieno tutti i significati. Non possiamo far altro che limitarci a tracciare delle possibili vie d’orientamento per lo spettatore in visita ai due palazzi in cui le opere dialogano in un gioco di specchi.
Entrando a Punta della Dogana ci troviamo di fronte a un sintetico ma prezioso excursus artistico e meta-artistico, dove l’oggetto indagato risulta essere la Storia dell’Arte stessa (greca, romana, egizia, azteca, buddista…etc) con alcune sue problematiche irrisolte e irrisolvibili. L’artista ci introduce ad alcune questioni già presenti alle origini della nostra cultura: la copia e l’originale, la produzione in serie e il collezionismo, l’ideale estetico e il concetto di Bello, l’estetica del frammento e del non finito, il ruolo dell’arte e del mecenate e infine il ruolo dei musei e dello spazio espositivo.
Hirst non manca di autocitarsi (Pharmarcy, 1992) con l’inserimento del motivo della bacheca/vetrina sulla quale questa volta ripone alcuni manufatti archeologici.
Già nelle prime tre sale è imprescindibile constatare come la forza di Hirst non stia nelle opere in sé, seppur di eccezionale manifattura, ma stia nel riuscire a tracciare dei voli pindarici extra temporali. Utilizzando due modi del fare artistico postmoderno, il “citazionismo” e l'”appropriazionismo”, Hirst dà forma a creature meravigliose che oltre a stupirci per la ricchezza della loro ispirazione iconografica, parlano di noi e del nostro mondo. È un dialogo complesso, a volte interrotto e muto, con figure mitologiche enigmatiche, conturbanti e pericolose, su tutte, la Sfinge e la Medusa.
La leggenda di Amotan e Apistos, la nave colma di tesori, espressione di varie culture ed epoche, diviene simbolo di una collezione immaginaria (bramata così tanto da Orson Welles in Charles Foster Kane) naufragata proprio quando stava per essere realizzata.
L’insaziabilità del desiderio di conoscere, il bisogno umano di spiegare la realtà con l’immaginazione e l’inconoscibile con miti o religioni, si incarna nella figura di Amotan, del collezionista bramoso di abbracciare e possedere il mondo intero. L’idea della sua nave-museo galleggiante, collezione di mille meraviglie sconosciute, rimbalza attraverso i secoli nella Wunderkammer cinquecentesca, nel sogno Enciclopedico settecentesco e nel Sehnsucht Romantico dell’800.
Tutto ciò risulta quanto mai contemporaneo se si pensa al nostro modus operandi quotidiano: utilizzando differenti dispositivi, collegati 24/24 a una rete Web, archiviamo e costruiamo ogni attimo, navigando tra fotografie e link, metadati e social network, il più grande racconto collettivo che mai possa essere esistito. Citando Luca Panaro l’ “archivio” è la “forma simbolica” del nostro tempo.
Torna alla mente la 55. Esposizione Internazionale d’Arte dal titolo Il Palazzo Enciclopedico, 2013, ispirata all’utopistica idea creativa di Marino Auriti che nel 1955 depositò all’ufficio brevetti statunitense il progetto di un Palazzo Enciclopedico, un museo immaginario che avrebbe dovuto ospitare tutto il sapere dell’umanità.
Treasures from the Wreck of the Unbelievabe indaga il desiderio di sapere e vedere tutto: è una mostra sulle ossessioni e sul potere trasformativo dell’immaginazione, il sogno di una conoscenza universale e totalizzante.
Un secondo polo su cui gioca Hirst è la finzione, la creazione di mondi fittizi che soltanto l’arte può trasformare in future verità. Come convincerci se non sfruttando la tecnica più in voga oggi, quella dello storytelling? Si sa, il raccontare è una componente necessaria dell’uomo e del fare artistico. Le pitture rupestri preistoriche non erano che racconti. Hirst inventa non solo le opere, ma anche l’universo da cui procedono, le condizioni geografiche, culturali, temporali della loro origine reale o immaginaria, della loro nascita, delle loro metamorfosi e della loro rinascita oltre l’oblio, la sparizione e la morte. Ci vende l’intera storia. Come sempre tocca a noi credere a cò che vogliamo credere.
Damien non si ferma qui. Le Metamorfosi di Ovidio ci accompagnano per tutto il percorso espositivo. Le sue figure coperte da incrostazioni di corallo e altre concrezioni marine, si ripetono simili, identiche e uguali, copie di copie ma sempre diverse.
Il tema della conservazione delle forme viventi per preservarle dal fluire del tempo era da sempre una costante del suo lavoro. Questa volta Hirst prende la direzione opposta e si confronta con il mutare delle forme. Emergono nuove soggettività ibride nelle quali crollano alcune dicotomie come mente/corpo, animale/umano, interno/esterno, naturale/artificiale, maschile/femminile, organico/inorganico. Distante dall’Homo Vitruvianus di Leonardo da Vinci, Hirst crea un universo aperto all’ibridazione e alla contaminazione naturale o tecnica: sulla statua greca appaiono ammassi di coralli e la Sfinge diviene Cyber. Un’identità nomade, contemporanea, in continuo mutamento.
Come dice Donna Haraway: “Alla fine del Ventesimo secolo (…) siamo tutti chimere, ibridi teorizzati e fabbricati di macchina e organismo: in breve, siamo tutti dei cyborg. Il cyborg è la nostra ontologia, ci dà la nostra politica. È un’ immagine condensata di fantasia e realtà materiale.”
Per terminare con le parole di Italo Calvino: “Tutto l’immaginabile può essere sognato ma il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura.”
Fino al 3/12/2017
Treasures from the Wreck of the Unbelievable. Damien Hirst
Palazzo Grassi e Punta della Dogana
Pinault Collection
Orari: Aperto dalle 10 alle 19
Chiuso il martedì
Biglietto unico
Photo Credits © Damien Hirst and Science Ltd. All rights
reserved, DACS/SIAE 2017
Photographed by Prudence Cuming Associates / Photographed by Christoph Gerigk
Eleonora Milner