“Nessuno è innocente di fronte ai rifugiati”
[dropcap type=”2″]Q[/dropcap]uesta è l’opinione di Ai Weiwei, artista poliedrico nato a Pechino e trasferitosi in Germania in seguito ad un lungo trascorso di esperienze in giro per il mondo, il quale sceglie di portare a Venezia’74 il docu-film Human Flow mostrando i flussi migratori e le condizioni dei rifugiati in scala mondiale; dal Mediterraneo all’Asia, dall’Africa all’Europa toccando con la sua cinepresa anche gli Stati Uniti.
L’autore riprende la devastante condizione di milioni di persone (attualmente il numero arriva a oltre 65 milioni secondo UNHCR) costrette a migrare dal proprio paese in seguito a guerre, persecuzioni religiose, carestie, povertà.
I dati forniti dal regista appaiono indubbiamente shockanti ed in particolare colpisce che la quantità di barriere, innalzate alle frontiere dai paesi europei in seguito al fenomeno migratorio, sia drasticamente aumentata, nonché quasi passata in sordina dal crollo del muro di Berlino ad oggi.
Attraverso una serie di interviste ai maggiori rappresentanti dell’United Nations High Commissioner for Refugees ed altre organizzazioni umanitarie Weiwei si interroga sul profondo significato della parola “rifugiato” senza però intravedere una forma di sviluppo del tema, ma lanciando solo l’esca in un oceano di interrogativi.
Viene definito rifugiato “Chiunque nel giustificato timore d’essere perseguitato per ragioni di razza, religione,cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi. “ recita la convenzione di Ginevra del 1951, come questa nel film sono presenti altre decine di definizioni, dati e citazioni che però, purtroppo, rimangono sospese senza alcun tipo di sviluppo narrativo.
Seppur l’artista, da sempre impegnato in cause umanitarie e diritti civili, compia un nobile e mastodontico sforzo in quanto a proporzioni – 2 anni di riprese, 23 paesi visitati, 1000 ore di video e più di 600 interviste – la pellicola non convince. Irrita la continua ricerca di un gusto estetizzante che appare forzato e soprattutto risulta discutibile la massiccia presenza nelle riprese del regista che a tratti appare fuori luogo.
Guardando Human Flow, si ha la netta sensazione di trovarsi di fronte ad un calderone di immagini (prodotte in eccessiva misura con droni e steadycam) per la durata complessiva di interminabili 140 minuti; immagini forti e potenti che straziano, fanno riflettere e talvolta incutono anche una sorta di senso di colpa nello spettatore che si trova scaraventato ed impotente in una realtà che di umano ha ormai solo il nome.
“Essere un rifugiato è molto più che uno status politico, esso è il più pervasivo modo di crudeltà che può essere esercitato contro l’essere umano”
Foto da Venezia di Alessio Costantino