Di Silvia Zanardi – Storie di Chi
Un libro racconta la storia di Donato Zangrossi e del grande regalo che fece a Venezia
Rallentavano il passo della gente, invogliavano chiunque a fermarsi per alzare il naso all’insù e ricordarsi di essere un granello di sabbia perso nella meraviglia. Era questo il compito delle girandole di Donato Zangrossi, che tutti chiamavano “Guido” e che amava firmarsi “Mastro Geppetto”.
A Castelforte San Rocco aveva costruito un universo di fiori, case, stelle, lune e soli di legno che giravano al ritmo del vento su perni ben lubrificati, pronti ad affrontare anche le tempeste. La sua era la casa delle girandole, quella con la facciata magica e giocosa che dietro la Scuola Grande di San Rocco chiedeva sorrisi e faceva guardare in alto, alla perfezione della natura che risponde a tutti quesiti della vita. Gli studenti affidavano ai movimenti vorticosi di quelle pale colorate la speranza di passare bene un esame e i turisti, fortunati per aver scelto una via alternativa verso San Marco, lasciavano bigliettini di ringraziamento all’autore misterioso di tanta bellezza.
Sono più di vent’anni che la casa custodita nei ricordi di tutti i veneziani ha perso quelle singolari opere di creatività. E oggi, stretta fra gli intonaci scrostati di Castelforte San Rocco, è una delle poche a mostrare una facciata quasi fresca di pittura e tristemente ripulita da ganci, segni e ingranaggi pieni di vita. Dal 1990, quando Zangrossi ha lasciato questo mondo, anno dopo anno le girandole sono andate perdute nell’indifferenza della città che tanto le aveva amate. Alcune sono finite a pezzi in laguna, distrutte da un violento temporale; altre, grazie al progetto della giornalista Antonella Barina, sono state salvate negli spazi della scuola materna di San Marziale. Ma anche di esse, in seguito alla ristrutturazione della scuola, si sono perse le tracce.
Eppure le girandole ci sono ancora, nella mente e nei ricordi pieni d’affetto di chi, fra gli anni Sessanta e Novanta, le ha guardate fermandosi in Campo Castelforte. Chi era il nonno-bambino che le costruiva e si affacciava ai balconi fiero del mondo che aveva costruito? Chi era il creatore misterioso a cui non interessava farsi pubblicità ma solo esprimere il suo profondo amore per il mistero dell’esistenza? Il lavoro meticoloso di Giada Carraro, ricercatrice di Castelfranco Veneto, lo racconta nel libro “La casa delle Girandole. L’arte cinetica di un poeta astronomo veneziano”, un piccolo tesoro di immagini e scritti inediti di Zangrossi in cui si scopre il perché del suo inestimabile regalo a Venezia.
Il poeta-astronomo, innamorato delle galassie e di una forza vibrante e creatrice chiamata “Dio”, aveva iniziato a costruire le girandole durante la pensione, al termine del suo lavoro da operaio alla Sava di Marghera e, in seguito, come custode del Padiglione Venezuela durante un’edizione della Biennale D’Arte. Non si sa di preciso in che anno vi prestò servizio, si legge nel libro, ma sono state alcune opere “cinetiche” presenti nel padiglione a ispirare, probabilmente, la costruzione delle girandole. Dietro a ognuna di esse c’era un messaggio rivolto all’uomo, che vive in quel “briciolino di terra di cui si sente padrone”. C’era anche l’invito a obbedire alla puntualità del sole, della luna, e all’incanto del generoso cielo stellato che inebria di bontà e allontana il male e l’orrore della guerra.
Al suo universo di legno di scarto, che al secondo piano della casa trasformava in un’arte unica di colori e astronomia, non aveva accesso nessuno, nemmeno la seconda moglie con cui era andato ad abitare al civico 3792 di Corte dei Preti. Zangrossi, con le sue mani da artigiano, trascorreva le giornate fra scrittura, sogni, letture di fisica e pensieri sulla vita che voleva trasmettere al di fuori, alle persone con cui si mostrava riservato.
Nel cielo e nei ritmi della natura, secondo il nonno veneziano, c’è il segreto per arrivare all’“alto livello”, ignorando quanto di negativo allontana l’uomo dalla nobiltà d’animo a cui deve ambire. Guardando lassù e immaginando l’immenso che ci circonda, insegna il nonno-poeta, si impara ad apprezzare l’umiltà, a contemplare il bello dominante e inafferrabile che scioglie l’invidia, il malumore, la delusione generata dalle cose futili.
Leggendo gli scritti inediti pubblicati da Giada Carraro, “Mastro Geppetto” sembra essere ancora lì, a compiacersi di quella facciata di giochi meravigliosi che regalavano tranquillità. “Mi commuovo sempre e sempre più me ne accorgo che questa nostra terra, coi suoi quarantamila chilometri di circonferenza e con tutto il suo formicolio animale compreso l’uomo, non è che un puntino oscuro insignificante – scriveva – come un atomo di polvere in uno dei tanti nuvoloni sollevati dal vento”.