[dropcap type=”1″]L[/dropcap]o potremmo definire un figlio d’arte, il padre Donato é presidente e designer di un brand di abbigliamento luxury da piú di trent’anni, la madre Antonella ha lavorato per molti anni come sarta/modellista e addetta al rimaglio e al rammendo, per questo probabilmente l’amore di Cecchin per i materiali, anche se il suo percorso e il suo approccio progettuale é lontano dal mondo classico del menswear o del knitwear.
Ecco la nostra chiacchierata con un giovane creativo decisamente da tener d’occhio.
Come ti sei avvicinato alla moda e quando hai deciso che avresti voluto farne un lavoro?
Non mi piace chiamarlo lavoro, nel senso che mi risulta più come una passione, la parola lavoro mi accende nella mente un’accezione negativa, quasi di obbligo e questa non lo è. È una passione di quelle che ti tengono sveglio la notte, di quelle che ti tiene la mente aperta, pronta a ricevere input per migliorare le conoscenze che già hai o che vorresti avere. Penso che i primi input mi siano arrivati girovagando nella ditta di mio padre da piccino. Mentre mia mamma era al rimaglio la domenica mattina, mio padre era in ufficio a disegnare la nuova collezione, io giravo tra i macchinari e tessuti. Questo mi fa pensare che la mela non è caduta così lontana dall’albero.
Lo Iuav è stato parte importante della tua formazione. Ci racconti un momento legato a questo percorso e quale il più importante insegnamento ricevuto?
Sicuramente dovendo pensare ad un momento preciso del mio percorso, non posso dimenticare quando ho ricevuto la risposta ad una domanda che avevo posto solo a me stesso. Quando, per la prima volta, ho ricevuto i complimenti per un progetto che ho ideato ed il senso di realizzazione e soddisfazione mi hanno fatto capire che il sudore, il sangue (in senso letterale) e le notti insonni non sono niente. Qualunque sforzo avessi dovuto fare da lì in poi ne sarebbe sempre valsa la pena e per fortuna è stato così.
L’insegnamento più importante? Una review che va male è solo un passo in più verso il risultato migliore.
Mi ha colpito molto il tuo lavoro Wooligans. Me lo racconti? Da quali input ispirativi è nata? Racconta una storia ben precisa, sbaglio?
Il film “This is England”, la canzone “I’m Forever Blowing Bubbles” dei Cockney Rejects. E l’amore per l’Eire. Un trip sulle macchine industriali per la lavorazione della lana. Il tutto condito da una ricerca infinita dei materiali per le campagne venete. Il progetto è cresciuto dentro di me con gli anni. Questa opportunità, che ho avuto la fortuna di avere grazie allo IUAV, ha generato in me il mix perfetto. Finalmente tutti i mondi che hanno influito nella mia crescita e acceso sensazioni hanno avuto l’occasione di emergere attraverso la mia progettazione. La mia ossessione per il tattile ha segnato in modo prepotente la scelta dei materiali e delle lavorazioni. Hooligans e Workers sono nati dalla mia mente, hanno combattuto e infine si sono uniti completando il “perfect spot”.
In generale da dove arrivano le ispirazioni per il tuo lavoro? Quali i mondi capaci di influenzarti?
Immagini, musica, film, arte. Soprattutto le cose che vedo in giro e magari riesco a fotografare. Perché ho una pessima memoria. Quindi via di schizzi su uno sketchbook, piuttosto che su un pezzo di carta. È da lì che partono tutti i miei trip, che escono come un flusso dalla mia mente, concretizzandosi nello scheletro solido del progetto.
Quali sono i tuoi creativi di riferimento? I designer che consideri un po’ genitori putativi?Diciamo che mi ispiro di più al mondo degli illustratori, fotografi, musicisti, poli-artisti piuttosto che fashion designers. La ragione è semplice, non voglio farmi influenzare da una creazione già finita, mi piace ricevere input dai più diversi campi, persino quelli inaspettati e questo mi permette di mantenere una visione più open-minded.
Osservando il tuo lavoro sembra tu compia una operazione di distruzione e di ricostruzione. Sbaglio? Da dove nasce questo approccio?
Fin da piccolo crei il tuo mondo immaginario, attraverso il gioco e soprattutto il disegno. Questo decostruire, più che distruggere, è dovuto dalla mia curiosità su come sono fatti gli oggetti, nel mio caso i materiali che trovo nelle mie ricerche. Mi piace molto maneggiarli, sfibrarli, studiarli e, in un passaggio di sperimentazione, customizzarli, facendoli diventare “Miei”. Per poi raccogliere il tutto e mixare, creando una sorta di caos, che è la parte che preferisco, perché ci metti tutto te stesso.
E rimanendo in questo ambito. Quali regole non ami del sistema moda e vorresti distruggere e ricostruire?
Come la storia insegna, le rivoluzioni portano cambiamento, e quasi sempre il cambiamento genera degli aspetti positivi. Per questo all’attuale sistema moda servirebbe una sorta di rivoluzione. Il fast fashion, che ha allora trasformato e migliorato il sistema precedente, è diventato un sistema obsoleto e oppressivo. Perfino i progettisti vengono divorati da tempistiche inumane. Quindi la risposta a questa domanda è semplice. Il tempo.
Quali progetti hai in cantiere e cosa ti proponi per il futuro?
Sentendo il racconto di un amico, di una vita passata di esperienza in esperienza, ho capito che questo è il momento giusto per migliorare me stesso, sia come persona, sia come designer. Questa è la mia passione, perciò queste due figure spesso sono una sola, e le esperienze che farò comprenderanno vari campi del mondo della moda, dalla grafica alla fotografia, al cool-hunting. Viaggiando così, sia fisicamente, sia con la mente, in spazi diametralmente opposti.