In montagna, la sfida dell’accoglienza favorisce relazioni inattese, come ad esempio una piccola frazione di Valle di Cadore che – con i suoi venti abitanti – ospita da qualche anno un gruppo di migranti gambiani. Tra loro Camara (33 anni), di mestiere falegname: mi mostra sul suo cellulare alcune foto dei mobili che era solito costruire prima di partire per l’Europa; oggi invece collabora con il suo vicino di casa Fabio nel recuperare mobili di scarto. “Quando vedi montagne così alte – mi racconta – alzi così tanto lo sguardo che ti cade il cappello dalla testa.” Nel salotto di casa c’è una grossa stufa a pellet. L’arrivo dell’inverno, per molti di loro, significa chiudersi in casa e uscire solo il minimo indispensabile.
In tutte le strutture in cui ho passato del tempo, ho percepito un clima di perenne attesa: l’iter per ottenere protezione internazionale può durare fino a due anni tra commissione, ricorsi e verdetti. In questo periodo di limbo tutti devono frequentare corsi di italiano, alcuni si inseriscono in attività di volontariato, altri cercano di ingannare il tempo con lo sport non appena la stagione lo permette.
Domando con frequenza cosa ne pensino del luogo in cui sono capitati. Tutti rispondono che sono felici di essere in un posto così suggestivo, ma allo stesso tempo vorrebbero maggiori prospettive di lavoro. Chiedo anche qual è stato il primo pensiero appena arrivati. Prima di rispondere, la maggior parte di loro sorride: “Non mi aspettavo un posto simile, immaginavo l’Italia come un posto fatto di grandi città, però qui mi piace.” Altri invece non sembrano avere troppo interesse per ciò che li circonda, la loro preoccupazione principale è ottenere i documenti e trovare un lavoro.
La montagna che risponde al fenomeno delle migrazioni si sta dimostrando aperta alle sfide di un mondo che cambia. Un dialogo che mette in relazione culture e modi di pensare differenti grazie alla sinergia delle diverse opportunità che i territori montani mettono a disposizione. Temi come il recupero del paesaggio, l’artigianato e l’agricoltura sostenibile diventano chiave nel progetto di una montagna che si affaccia al cambiamento e che non sembra più così immobile.
Sull’autore:
Michele Amaglio è un fotografo italiano nato nel 1993. Dopo aver conseguito una laurea in fotografia presso University of Brighton, vive e lavora a Treviso come fotografo freelance. Il suo lavoro è stato pubblicato da Huffington Post, Creators, Elle Decor e Il Manifesto ed esibito in importanti manifestazioni come Brighton Photo Fringe, Les Reconcontres Internationales a Parigi e Berlino.