La niña guera en la ciudad de los morenos

Mexico: By Arianna Galati

La niña guera en la ciudad de los morenos

La metro di Città del Messico ha tutte queste linee intersecate e stazioni immense da percorrere per trovare la propria destinazione. Saliamo sulla verdeoliva da Universidad a Hidalgo, per ritrovarci nelle preparazioni infuocate di buona retorica del Social Forum che sarà qui la prossima settimana.

Bellas Artes è una copia dell’Opéra di Parigi, dentro ha delle sfumature anni ottanta in ottone e marmo rosa, i murales e le tele alle pareti con le persone a naso insù che cercano di capire il senso di alcuni quadri.
Il sole sulle pietre bianche della piazza fuori da Bellas Artes acceca gli occhi abituati alla semioscurità gentile dell’interno. Vediamo un mimo pitturato di pastello azzurro, pranziamo -malino- in un locale dove il cameriere si entusiasma della nostra italianità, e di buona lena ci infiliamo nel flusso ininterrotto di persone che esplode all’incrocio dello Zócalo.
Lo Zócalo è impressionante, col circolo di traffico che lo avvolge, la Cattedrale che sembra in rovina e l’imponenza annerita del Palacio Nacional, costellato dai puntini verdi dei militari serissimi. Tranne q

uello all’entrata, che controlla i nostri passaporti italiani e si fa sfuggire quanto di più possa somigliare ad un sorriso intenerito.
Il capello chiaro –guera, mi apostrofano, tendenzialmente con accezione positiva- è un buon passepartout nella terra dei moraccioni e degli indios. Basta specificare la provenienza italica, perchè rischio di passare per gringa estadosunidense, con tutto ciò che comporta.
I murales di Diego Rivera sono spettacolari, enormi, ripieni di colori e personaggi; ci si perdono gli occhi a tentare di riconoscerli tutti, da Zapata a Pancho Villa, da Benito Juarez a Cortés, tutta la storia del Messico che si ingigantisce di gente e allegorie davanti a noi.
La quantità di gente che affolla lo Zócalo fa immediatamente desistere dal proposito di continuare le peregrinazioni nel centro della Ciudad, perciò la metro ci risputa clemente nella zona dove vive la Marchesa, per prepararsi alla piccola cena di benvenuto che mi presenta alcuni della bandita: Rafa, David, Marco e Eugenia.
Tutti gli ometti si stupiscono dei miei capelli sotto la luce: lo shampoo di Lush funziona egregiamente, d

evo riconoscerlo. Partono le foto, i sorrisi, si stappano birre e si mangia una pasta rinominata “italo-chilanga” dai colori delle rispettive bandiere. Che son gli stessi, quindi non è manco difficile su cosa orientarsi: il verde delle zucchine e del prezzemolo, il bianco dell’oaxaca, il rosso dei pomodori, e che gli stomaci si aprano.
La serata finisce a trash anni ottanta da ambo le parti -non conoscono bene la fama dei Duran Duran e io e la Marchesa ci premuriamo di illuminarli sulle guerre musicali degli anni ottanta in merito alle fazioni contrapposte- e a chiacchiere sugli uomini italiani con Eugenia, che ha avuto la sfortuna di incappare nella peggior specie di macho italico esistente: quello col cervello, e si sospetta anche altro, muy chiquitito.
Te faltan huevos è il nuovo motto con cui apostrofare gli uomini, e ci fa ridere fino al sonno.

ENGLISH VERSION TRANSLATION BY BAART VAN MALLSEN

Mexico City’s underground has got all these tangled lines and immense stops that you have to cross if you want to get at the desired destination. We got on the olive green line from Universidad to Hidalgo, in order to be at the heated preparations of good rhetoric of the Social Forum, that will be held here next week.

Bellas Artes is a copy of the Opéra of Paris, inside you can find brass and pink marble 80s features, murals and paintings on the wall together with people who have their noses in the air in order to understand some of these drawings. The sun on the white rocks of the square outside Bellas Artes blinds our eyes which were accustomed to the gentle semidarkness inside. We observe a baby-blue painted mime; we have lunch (I have had better ones) and the waiter is very enthusiastic about our being Italian, and with good spirits we mix ourselves with the never stopping flow of people at the corner of Zócalo.
The Zócalo is quite impressive, with its hectic traffic all around, the Cathedral that seems to be falling apart and the darkened majesty of the Palacio Nacional, studded with green dots, which turn out to be very serious soldiers, except for the one standing at the entrance and who makes something like a moved smile at the look of our passports. Blond hair -guera, which, they later tell me, normally has a positive meaning- is a nice passe-partout in the land of dark-haired and indios, even though it is compulsory to specify the Italian origins, if not I could be considered as gringa estadosunidense, with all its consequences.

Diego Rivera’s murals are spectacular, enormous, full of colours and people; you almost lose your sight by the attempt to identify them all: from Zapata to Pancho Villa, from Benito Juarez to Cortés, the entire history of Mexico magnified with people and allegories in front of us.
The immense number of people at the Zòcalo immediately make us give up to continue our excursion in the centre of the Ciudad, hence the underground throws us gently out in the area where the “Marchesa” lives, and where she had prepared a small welcoming dinner to present some of the bandita’s members: Rafa, David, Marco and Eugenia. Everyone is amazed by the colour of my hair in the sun (I have to admit, that shampoo I bought at Lush is doing its job quite well!). And then the pictures, the smiles, beers being opened and a “Italian-chilanga” pasta, with the colours of the two flags, which are the same so it’s not difficult to chose ingredients: courgettes and parsley for green, oaxaca for white and tomatoes for red. May the stomachs be opened!
The evening ends with trashy 80s music of both continents -they’re not really aware of Duran Duran’s fame and the Marchesa and I try to enlighten them about the wars in music during the 80s regarding different political parties- and with discussions about Italian men with Eugenia who seems to have had the worst kind of luck by running into the worst kind of macho italico: one with a brain, and we suspect something else as well, muy chiquitito. Te faltan huevos is the new slogan to indicate men, and finally we laugh ourselves into sleep.


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