Alla torre civica di Mestre è stata inaugurata lo scorso 23 aprile la mostra “Mr Selfie – Ricky with vip”, organizzata da Mes3Eventi. Per chi come me da diversi anni lavora alla mostra del cinema di Venezia, Ricky è una figura nota che non manca ogni anno di infilarsi un po’ ovunque per provare a scattare qualche foto con vip, soubrette, personaggi noti e meno noti e accumulare nel suo archivio delle fotografie, arrivate secondo l’autore degli scatti ad oltre 4000.
Che un ragazzo abbia una passione e la eserciti non c’è nessun problema, anzi: in un periodo storico dove la crisi attacca anche la creatività e la voglia di fare, chi si dedica ad una passione in modo convinto è solamente da applaudire, prendere da esempio perché coltivare i propri sogni è un diritto e probabilmente anche un dovere per vivere in una società migliore in crisi con tutti i valori costruiti fino ad oggi.
Il problema che si pone con questa mostra però non è incentrato sulla voglia di Riccardo Scalise di fare le sue fotografie, quanto piuttosto la scelta di utilizzare uno spazio pubblico per questo tipo di immagini per offrire un ulteriore possibilità all’autore di aumentare in modo esponenziale il suo “ego” (fatto innegabile poiché è proprio Riccardo Scalise sempre presente in tutte le immagini, diventando di fatto il protagonista e mettendo in secondo piano gli altri personaggi famosi”).
Fotografare è un tema sempre più attuale, se non quotidiano. Giusto oggi su “La Repubblica”, un bell’articolo di Michele Smargiassi sul fotografo “Settimio Benedusi” e i suoi scatti utilizzati per viaggiare, conoscere persone e “sopravvivere”. La fotografia è sicuramente un’arte popolare, accessibile a tutti, come può essere la scrittura o la pittura: tutti siamo nelle condizioni di prendere una penna e scrivere, prendere un pennello e dipingere o appunto prendere una macchina fotografica e fotografare. La differenza, come è facilmente intuibile la fa la persona, non tanto il mezzo, che può costare 10 euro, 100 euro o 10.000 euro.
Se l’autore della mostra si “vanta”, come ha dichiarato alla stampa locale di scattare unicamente con la sua “Reflex digitale” e non con un telefonino, prova ad inserirsi in una famosa diatriba che da quando i telefoni cellulari si sono trasformati in smartphone, tutti hanno nella propria tasca un mezzo più o meno potente per scattare delle fotografie.
Anni fa uscì sul mercato un telefono della Nokia a 44 megapixel e per far vedere quanto potente il mezzo fosse, sono stati chiamati ad utilizzarlo e realizzare dei reportage scattati unicamente con il telefono una serie di grandi fotografi, proprio a riprova che non è tanto il mezzo che si usa, quanto l’occhio con il quale si guarda le cose. L’agenzia di fotogiornalismo più famosa al mondo, ovvero la Magnum, fondata da personaggi quali Cartier Bresson e Robert Capa ha recentemente ammesso nella cooperativa un fotografo che agli utilizzatori di Instagram è assai noto: Michael Christopher Brown. Le sue foto nelle zone di guerra, dal Congo alla Libia sono poesia, una poesia scattata con il telefono.
Ecco quindi che nel dire “Scatto solo con la reflex” è di fatto una affermazione che non ha nessun significato. C’è bisogno di una reflex per scattare un autoritratto? Probabilmente no.
Che i selfie abbiano preso il sopravvento e diventati oggetto di discussioni infinite, tra chi si schiera nella categoria dei pro e quelli dei contro è sintomo di una attenzione senza confini per la fotografia e questo è sicuramente positivo. Come scrive il New Yorker c’è però un limite oltre il quale bisogna porsi delle domande: in futuro scatteremo (o forse lo facciamo già) qualunque cosa e non guarderemo più nulla.
Milioni di megabyte prodotti ogni minuto che riempiono i nostri hard disk, le schede di memoria dei nostri cellulari producendo allo stesso tempo tanta spazzatura che poi ogni tanto eliminiamo o teniamo senza più ricordarci nelle nostre memorie.
La domanda da porsi però è la seguente: se i selfie sono diventati un fenomeno sociologico che non ha più confini è da considerarsi tale per una esposizione fotografica oppure no? È giusto dedicare uno spazio pubblico ad un prodotto che è di fatto privato, quale scattare le immagini unicamente per una propria passione un po’ narcisista di poter apparire e conoscere personaggi famosi? Per quanto mi riguarda penso di no, che come cittadini da spazi pubblici ci meritiamo di meglio. Nota bene: questa non è una critica al lavoro di Riccardo Scalise, che come ho spiegato all’inizio coltiva giustamente una passione, ma chi cura attività culturali avrebbe un ruolo di scegliere cosa sia giusto esporre al pubblico. Immagini in bianco e nero come quella che ritrae il fotografo Scalise assieme ad Al Pacino con gli occhiali rielaborati con photoshop con un azzurro sgargiante è esattamente tutto quello che il pubblico dovrebbe risparmiarsi di vedere, perché diversi scatti sono editate in maniera assolutamente amatoriale, utilizzando filtri che impoveriscono l’immagine senza creare neppure un filo logico cromatico.
Una fotografia di fatto tolta di significato e di colore lasciata ai commenti e ai sorrisi del pubblico nazional-popolare. Quale valenza culturale ha questa mostra? Non è ancora chiaro. Per quanto mi riguarda nessuna. Cara organizzatrice Elisa Pandiani, quando spiega che Riccardo Scalise è riuscito nell’impresa titanica di immortalarsi con personaggi “inarrivabili”, creando di se stesso un brand dice qualcosa di ineccepibile, il problema però è che tutto questo dovrebbe rimanere all’interno della sfera privata dell’autore e non trovare sbocco in spazi pubblici solo per il fatto che nelle immagini ci sono personaggi famosi. Ad utilizzare l’immagine di Ricky come personaggio ci ha pensato anche uno dei programmi più famosi della televisione Italiana, ovvero Blob. Quello che ci si domanda è se Blob e uno dei suoi autori più famosi, ovvero Fabio Masi, abbia utilizzato Riccardo come personaggio-macchietta oppure lo abbia incoronato tra i personaggi più curiosi durante la mostra del cinema: quale sia la risposta giusta non è compito nostro dirlo, lo spettatore ha libera scelta nel decidere cosa pensare.