Napoli, capoluogo della Campania, è la terza città più popolata dell’Italia – seguendo Roma e Milano – e la prima per densità con una media di circa 8500 abitanti per chilometro quadrato. La città si sviluppa sul mare, con il suo grande porto, e intorno al Vesuvio, il vulcano dormiente che svetta e fa ombra a paesini e località limitrofe.
Su una superficie di 1171 chilometri quadrati e in una così grande quantità di napoletani, la Camorra non è che una piccola parte di tutta questa immensità. Quello che però viene mostrato della città campana è sempre ed esclusivamente questo: mafia, boss, pizza, le Vele di Scampia, il degrado e la povertà, e tanti stereotipi, che sono moltissimi, quindi non ne elencherò altri.
Quello che in realtà si vede quando si arriva a Napoli è una cosa completamente diversa. Si può iniziare già dalla stazione metropolitana che ha alcune delle stazioni più belle d’Italia, con Toledo considerata quella più bella d’Europa (e pure del mondo). Non si può parlare solo delle bellezze architettoniche moderne e di design, ma addentrandoci nel centro storico si possono osservare chiese stupefacenti, il più delle volte nascoste agli occhi dei turisti, considerate parte della quotidianità e non elogiate abbastanza. Napoli è una metropoli moderna, con però la sua componente proletaria, che è composta invece dagli immigrati nel resto d’Italia. Ed è proprio questa sua specificità che permette di trovare a Napoli altri tipi di tesori: la gente.
Il traffico caotico di macchine e scooter a cui bisogna fare attenzione per non trovarsi in incidenti poco piacevoli si alterna al flusso costante e incessante della gente che volteggia per le strade e cammina da una parte all’altra della città. Per non parlare della fiumana di turisti che invade la città tutto l’anno, come qualsiasi meta artistica e storica italiana. Un concentrato di energia, caos e movimento che avvolge e travolge chi arriva da lontano, trascinandolo in un vortice di persone dal dialetto ormai famoso in tutto il mondo, che per loro non è solo un dialetto ma una vera e propria lingua ufficiale della città. Tutto questo è il motivo per cui quando una persona visita Napoli, è impossibile non entrare a far parte della grandissima comunità qual è la città stessa, ed è questa la cosa che non si sente in altre località: il senso di comunità. Una comunità che è costituita da una città che si espande a vista d’occhio, inglobando le province circostanti come se fossero quartieri invece di paesini indipendenti, e una comunità composta da napoletani e immigrati, che convivono serenamente e si sono integrati così bene che è più facile sentirli parlare napoletano, che srilankese.
Per rendere al meglio questo concetto comunitario, che si può quasi definire un sentimento, ho parlato con alcune persone che questo senso di comunità lo hanno vissuto, lo vivono e lo creano fisicamente.
La musica a Napoli con Mario Orsini
Mario Orsini, classe ’88, è il fondatore di Fallo Dischi, tour manager de La Maschera, manager de La Terza Classe, capo di Controcanti e assistente di pre-produzione di Ufficio K Eventi. Chi più ne ha più ne metta? Quasi. Ma quello di cui abbiamo parlato non è della sua mera carriera nel mondo della musica, ma di come questo mondo si sia evoluto in una città come quella partenopea, che per la musica ha un amore profondo.
Prima di parlare di musica, Mario mi ha raccontato la “sua” Napoli, quella fatta di caos metropolitano, che negli anni è cambiata moltissimo e che ha imparato a modernizzarsi ai suoi ritmi. La stessa Napoli che considera la sua città solo una città, dimenticando di essere anche ricca di arte e storia. Una Piazza del Plebiscito a parcheggio non è concepibile oggi, ma un tempo era effettivamente così. Quindi non è da tanto che Napoli ha iniziato a “comportarsi” come città moderna e cosmopolita, dando la giusta importanza ai suoi monumenti, e che può considerarsi alla pari con altre città d’Europa per molti fattori, come il modo di divertirsi, i flussi economici, la moda, ma per quanto riguarda l’aspetto culturale Napoli ha un grosso deficit: è difficile riuscire a sviluppare ambiti culturali come il teatro, la musica, perchè è difficile riuscire a far arrivare le produzioni da fuori.
Parlando di musica, ci si può stupire come oltre al neomelodico esistano anche band che esulano da quel mondo per rientrare nei generi musicali come elettronica, rock, punk, pop e rap, lontanissimi dalla musica stereotipata napoletana. Come già menzionato, portare produzioni musicali all’interno della Campania è difficile, ancora di più è portare fuori dalla regione le produzioni campane. La scena musicale napoletana è fatta da quattro, cinque gruppi grossi che girano spesso per la Campania e con un cachet anche di 4000 mila euro, ma nel momento in cui le si fa suonare in altre parti d’Italia il cachet si riduce a 400€, quindi la motivazione per uscire dalla loro zona sicura è per i napoletani che si sono trasferiti altrove e non per raggiungere un pubblico più variegato. Gruppi come Foja, La Maschera hanno modernizzato la musica napoletana classica, e funzionano bene, sono reazionarie. Ma hanno il pubblico napoletano. Napoli è diventata una città con una popolazione con la stessa cultura, le stesse letture e gli stessi gusti musicali di un milanese o newyorchese, per cui la scena musicale si sta sviluppando moltissimo.
[quote_box name=””]C’è una bellissima scena elettronica, una bellissima scena punk e rock, gruppi indie che iniziano a funzionare, ma bisogna sempre un po’ esternalizzare l’investimento. Pensare una produzione fatta tutta a Napoli che sia funzionale all’Italia è impossibile.[/quote_box]Il lavoro di Mario a Napoli è stato portare le produzioni culturali nella città e mostrarla come è fatta realmente, creando uno spazio di condivisione e di esperienze da scambiarsi. Ha sempre provato a far sì che chi andasse a Napoli a suonare, portasse con sè un pezzo della città fuori dalla Campania, facendo capire che Napoli ha molto da offrire ed è un pentolone che bolle di vita.
Vincenzo Noletto e Humans of Naples
Avete sicuramente già sentito parlare di Humans of New York, ora diventato anche una serie, che parla di persone incontrate per strada a New York. Un progetto antropologico che vede la luce anche a Napoli con Humans of Naples, grazie a Vincenzo Noletto, anche lui classe ’88. Un progetto, che come il primo, vuole essere antropologico e soprattutto umano a livello emozionale. L’idea è la stessa: fermare persone per strada a Napoli e fare delle domande per conoscerle un pochino. Le domande che Vincenzo fa sono quattro, ovvero la cosa più bella e la cosa più brutta che hai fatto nella vita, la cosa che ami di più fare e la cosa che odi di più. Quattro semplici domande alle quali non è così facile rispondere così su due piedi. Infatti, è successo che qualcuno abbia scritto a Vincenzo per modificare o togliere le risposte date anni prima perchè le idee erano cambiate.
Vincenzo si avvicinò alla fotografia dopo quattro anni a lavorare per la Apple, quando uscì l’iPhone e un certo Robert Herman decise di utilizzare proprio un telefono per fotografare, diventando famoso per i suoi scatti fenomenali. Dopo aver studiato fotografia, la passione per quest’arte è cresciuta tantissimo, usando qualsiasi macchina fotografica inventata.
[quote_box name=””]C’è una percentuale molto bassa della popolazione napoletana, legata al malaffare e non credo che quel 0,1% possa parlare per tutto il 99%, però si parla sempre di quello. Questo mi ha spinto a parlare degli umani di Napoli. [/quote_box]Dopo essere inciampato in Humans of New York, decise di portare il progetto a Napoli. Ha dato uno format che potesse riassumere la vita delle persone con le quattro domande e rimanendo imparziale davanti alla rappresentazione di una persona. Sono quattro anni che questo progetto vive e si sviluppa, diventando un album dei ricordi di persone che non sono più in vita, di persone che magari non vivono più a Napoli o di persone che sono cambiate negli anni. Approcciare le persone però non è facile, bisogna capire chi vuole concedersi e chi invece non vuole parlare, però da quando ha cominciato, Vincenzo ha ricevuto pochissimi rifiuti, che sono sempre stati più che validi.
Movimenti studenteschi e centri sociali
Tra musica e fotografia, anche i movimenti sociali e politici sono parte integrante della città di Napoli, che può essere considerata come un focolaio di idee, ideali, rivoluzioni e vitalità. Il grande numero di centri sociali politici e non, e di movimenti studenteschi è il cuore di questo focolaio, in cui ragazzi universitari, liceali, adulti e ragazzini prendono in mano le redini del loro futuro e si danno da fare per rendere la città e la loro vita un posto migliore.
Cristina Trey è una studentessa di Scienze Politiche all’Orientale di Napoli ed è parte di LINK, coordinamento universitario presente anche nel resto d’Italia. Quello che LINK rappresenta per Cristina, e tutti gli altri facenti parte del coordinamento, è una realtà in cui entrano in gioco non solo le idee del singolo, ma l’unione del gruppo intero, capace di muoversi anche all’interno della politica esclusivamente universitaria, chiamondosi anche “Link Studenti Indipendenti”, si sono scissi da UdU proprio per non essere legati alla politica. Link non è un associazione solo universitaria, ma si muove a metà tra movimento e istituzioni universitarie – si presentano alle elezioni studentesche, in competizione chiaramente con altre realtà che non hanno anche aspetti di dialogo con quelle realtà puramente di movimento, come LINK. Né tanto meno sono di Sinistra, o la pensano come loro. Funziona un po’ come nella politica nazionale. Ci sono molti spazi autogestiti a Napoli e la maggior parte di questi spazi sono dati in gestione attraverso delibera del Sindaco, un atto giuridico di sostanziale legalizzazione dell’occupazione, quindi vi è un’amministrazione comunale favorevole all’autogestione degli spazi, che a LINK fa piacere. Tutto ciò permette alle cose di cambiare davvero, di far sentire la voce degli studenti e di “fare politica” in modo giusto ed equo.
Le assemblee si tengono in un’aula che spetta loro di diritto dove riunirsi all’università Orientale perché lì hanno l’intero Consiglio degli Studenti composto solo dai loro militanti e tutti hanno il diritto di dire la propria sull’argomento del giorno o su un problema che è stato presentato nell’assemblea del giorno, e nessuno ha il potere di far valere la propria proposta rispetto ad un’altra, anche se è stata detta da chi sta “a capo” dell’associazione. Le figure che più o meno sarebbero analoghe a quelle di “capi”, sono in realtà il Coordinatore cittadino e il Responsabile Organizzazione, coadiuvati da tre persone. Insieme formano l’esecutivo, che è un organo eletto a congresso da tutti i militanti, queste figure sono di coordinamento: fissano le assemblee, comunicano gli ordini del giorno (che comunque possono essere proposti da chiunque), dialogano a nome dell’Organizzazione con i rappresentanti delle altre realtà, per fare cose, cortei, assemblee etc insieme su argomenti di interesse comune, tipo il biocidio o la questione di genere. Più che di gerarchia, parliamo di figure funzionali a coordinare il lavoro di tante persone, che però sempre dall’assemblea dipendono, unico organo in grado di formulare la posizione dell’organizzazione.
[quote_box name=””]Da bravi comunisti, siamo hegeliani dialettici, quindi crediamo nella sintesi delle diverse posizioni che emergono in assemblea, tutte le posizioni. La sintesi corrisponde alla posizione delll’Organizzazione.[/quote_box]Per quanto riguarda i centri sociali, la lista di quelli a Napoli è lunga: Officina 99, Ex OPG, Mezzocannone Occupato, lo Scugnizzo Liberato, che rispetto ai precedenti è un centro sociale occupato apolitico, e tanti altri.
Lo Scugnizzo Liberato si trova all’interno dell’ex carcere minorile Filangieri, rimasto in stato di totale abbandono per 17 anni e aperto nel 2015 grazie all’azione della rete di collettivi Scacco Matto e ribattezzato Scugnizzo Liberato. Chi sono gli scugnizzi? In dialetto napoletano, lo scugnizzo è di solito un ragazzino, ma va ad indicare precisamente i ragazzini che vivono per strada, che sia perchè è orfano, criminale o semplicemente vive in un quartiere povero. Il carcere aveva due piani distinti per tenere separati i ragazzi “persi” da quelli che erano parte della microcriminalità napoletana.
Sono stata allo Scugnizzo e mi sono fatta portare in giro per i vari piani dell’edificio da uno dei ragazzi che organizza il posto e si occupa della sala disegno al secondo piano del carcere. Lo Scugnizzo è costituito da un piano terra dove c’è il bar, il campo da calcio ed una serie di botteghe artigianali come il restauro di mobili di legno, di finestre sacre, la creazione di oggetti ricavati dalla plastica. Un luogo dove i ragazzini, che di solito passano le loro giornate per strada, possono ritrovarsi e giocare in un luogo sicuro da pericoli e soprattutto un luogo dove possono imparare e non solo passare il tempo.
Dalle parole di chi ha liberato l’ex carcere:
[quote_box name=””]Abbiamo scelto questo giorno per liberare questa struttura perché è una delle Quattro Giornate di Napoli, momenti di resistenza durante i quali tanti scugnizzi uscirono da questo stesso luogo per andare ad opporsi all’oppressione nazi-fascista. Per noi gli scugnizzi potranno essere quei ribelli capaci di una nuova liberazione di Napoli da tutto ciò che strozza le sue potenzialità. Questi scugnizzi non hanno bisogno di carceri ma di alternative per diventare nuovi partigiani dei bisogni e dei desideri della collettività.[/quote_box]Tutte queste persone che ho incontrato mi hanno permesso di scoprire lati di Napoli che sono quasi sempre nascosti agli occhi degli estranei, rimanendo nei confini della città stessa. Sono piccole gemme di umanità da condividere il più possibile.