Abbiamo deciso di intervistare Alberto Ruvoletto, uno dei due creatori del progetto One Thousand Project, qualcosa che a parole e visti i nomi coinvolti ci sembra molto interessante, ma per capirne di più ecco che Ruvoletto ci raccota bene di cosa si tratta.
Partiamo dall’inizio: se dovessi raccontare Alberto Ruvoletto cosa dovrei descrivere secondo te?
In realtà arrivato a 24 anni non ho ancora un’opinione definitiva sulla mia persona, nel senso che mi sento in continuo e costante mutamento, e questo mi diverte tanto quanto mi fa ragionare su me stesso e su come reinventarmi, rendermi più contemporaneo mantenendo comunque la mia integrità. Credo in ogni caso di condurre un’esistenza lineare: sono uno studente di Design della moda, abito in Riviera del Brenta e ci sono fortemente affezionato nella gioia e nel dolore, soprattutto perché è una terra che mi rappresenta e che mi ha dato e tolto molto come tutte le dimensioni vere, quelle a cui costa fatica volere bene. Sono molto affezionato alla sfera del ricordo e della memoria, in qualsiasi cosa faccio cerco di riversare almeno una parte visiva, sonora o immaginaria del processo che mi ha portato ad essere ciò che sono oggi, dalla casa al mare ai film della Wertmuller che davano su rete4 e che guardavo da piccolo con nonna.
Da quanto tempo ti occupi di musica e da quanto fai il DJ?
Non so dirti esattamente da quanto mi occupo di musica, e soprattutto se posso definirmi una persona che realmente “si occupa di musica”, però posso raccontarti un paio di tappe fondamentali che mi hanno portato ad ascoltare quello che ascolto oggi. La prima e forse la più importante per me risale più o meno a 10 anni fa. Ero poco meno di un quindicenne quando una sera andai a casa di amici dei miei a cena ed il loro figlio primogenito, un paio di anni più grande di me, aveva da poco iniziato la sua carriera da dj (che si rivelò poi essere breve e fatua) e avendo appena acquistato due Technics ed un due canali Pioneer assieme ad una serie di vinili, per mostrarmi come si coordinasse bene il tutto prima di mettere le mani sulla consolle mi mostrò un dvd che per me è stato fulminante, primordiale. Si trattava di “Exhibitionist”, un dvd pubblicato da Axis Records dove Jeff Mills viene ripreso mentre padroneggia per tre quarti d’ora 3 giradischi con una precisione geometrica. Quel momento per me è stato illuminante. Sono rimasto abbagliato dalla sua delicatezza e dalla sua precisione, oltre che dai dischi che giravano ovviamente, quella era la prima volta che sentivo la Techno Detroit, che poi non se n’è mai più andata dai miei ascolti. Sono andato a sbirciare nella sua mini collezione per vedere cosa si potesse ascoltare e ho trovato “Black Water”, il singolo che ha reso celebri gli Octave One e Ann Nanton, moglie di Kevin Saunderson, presente seppur senza vocali nel DVD. Assieme agli Octave One c’era il disco contenente “The Bells” sempre di Jeff Mills, che per me rimane l’espressione più neoclassica e sempiterna di quello che io chiamo Techno. E così io e questo ragazzo che tra le altre cose si chiama come me abbiamo passato tutta la sera ad ascoltare musica coscienti entrambi di quanto erano pesanti ed importanti quei dischi. Da lì in poi è stato tutto un processo evolutivo naturale, mi sono nutrito di Techno americana per molto tempo, affiancandola spesso all’ house classica di Chicago.
Successivamente intorno ai 18-19 anni quando sono sbarcato a Mestre sono entrato a contatto coi ragazzi del Do Not Friday Underground, un party che al tempo prendeva luogo al Tag Club e che sempre al tempo si occupava di esportare tutta quell’ house di matrice inglese che nessuno si cagava ma che poi avrebbe sfondato Discogs nel giro di pochi anni. Accettai subito di lavorare con loro semplicemente perché avevo anche io cominciato ad ascoltare molte cose che provenivano dalla Gran Bretagna, soprattutto Garage e Techno. Una cosa che mi è piaciuta fin da subito dei ragazzi del DNF era appunto il carattere educativo di quello che facevano, si portavano fuori dalla Union Jack artisti che l’anno dopo quasi sempre triplicavano i cachet e significava che dietro, a mio parere, c’era un’operazione di scouting non indifferente che pagava sempre in termini di anteprima. In ogni caso io non sono mai stato un dj, ho troppo rispetto per il termine. Però mi piace molto mettere dei dischi solo quando ho realmente bisogno di dire qualcosa, che sia la necessità di raccontare un viaggio piuttosto che la voglia di raccontare me stesso.
Ho letto il tuo annuncio del progetto “One Thousand”, assieme a Federico Folladore. Come premessa, ci puoi parlare del tuo socio Federico, chi è, che cosa fa e perché avete scelto di lavorare assieme, ma più in particolare di questo nuovo progetto che avete lanciato?
Federico è una persona speciale. L’ho conosciuto durante il mio secondo anno di università perché siamo andati a vivere assieme a Treviso. Abbiamo legato subito in quanto avevamo gli stessi interessi, soprattutto per la musica, la moda ed il design. Quando vivevamo assieme si parlava di fare un progetto collettivo ma le idee non erano ancora molto chiare al tempo, si parlava inoltre di fondare un collettivo ma c’era solamente tanta voglia di fare non direzionata, non incanalata verso un fine ultimo e quindi tanta energia dispersa. E così venne marzo e poi aprile e la domenica se Federico non lavorava nel negozio di vestiti che di solito lo teneva occupato il weekend si partiva e si andava a ballare in un posto vicino casa nostra dove trovavamo sempre tutti i nostri amici da lontano e così lì io (che parlo anche coi sassi) ho iniziato a conoscere svariati ragazzetti della mia età che mettevano dischi in giro e mi parlavano dei loro ascolti, mi mostravano video di tutte le drum machines che avevano a casa, mi giravano vinili di dischi che io non conoscevo e così lentamente si creavano connessioni soprattutto digitali (Facebook) che arricchivano sia me che loro.
Quando si è trattato di arrivare al punto però nel chiedere “ma voi raga qui dove mettete i dischi?” e le risposte sono state sempre vaghe e dispersive nel senso che metà delle risposte è stata “principalmente all’estero, soprattutto Berlino, qui non balla nessuno quello che metto”. Allora mi sono detto vaffanculo se non balla nessuno, creiamo un format all’interno del quale venite tutti incubati e smistati in una serie di serate dove ci metto io la faccia e vi do la massima autonomia nell’esprimere la vostra visione. Parallelamente però facendomi due conti, m sono reso conto che proprio non ce la facevo a sostenere i costi di questo nuovo progetto e lì è entrato in gioco Fede. Da tempo lui voleva fare una capsule collection street assieme a me e così gli ho detto: – Senti fè ma perché non proviamo insieme a fare una sorta di merchandising elaborato per questa festa che però si limiti ad essere una serie di pezzi che dialoghino bene tra loro e non un marchio a sé stante, così vediamo se sta roba può autoalimentarsi? – e così è partito tutto.
Fede è forte sui volumi e sulla ricerca tessuti, io un po’ di più sulle grafiche e così abbiamo costruito un po’ di pezzi singoli che interagiscono tra di loro che proveremo a vendere alle serate e nel website che presto uscirà.
Parli di Techno a Km 0. Perché avete questa necessità? Pensi che in Veneto ci siano troppi DJ che vengono da fuori e che per chi produce in zona non ci sia abbastanza spazio, oppure dire “Km 0”, fa figo come chi vende i prodotti come carne, frutta e verdura biologica?
Parlo di Techno a km0 zero perché il 98% di tutti gli staff veneti continua ad indebitarsi per pisciare fuori dal boccale con artisti internazionali facendo poi dei buchi colossali o perdendoci comunque dei soldi e lasciando poi a casa dj’s e selectors veneti che vanno a Berlino a fare la fame e ritornano qui arricchiti sia culturalmente che economicamente. Questo è un discorso banale e sempiterno ma non è meritocratico. Se si creano le basi per avere una club culture solida di matrice veneta con un suono di sicuro eterogeneo ma identitario, risulta più facile per tutti uscire da questa melma di debiti per i cachet perché si creano quantomeno le basi per un’educazione musicale completamente italiana. La storia lo conferma: il reggae nasce a Kingston Town perché non c’è mai stato l’interesse nei jamaicani di proporre qualcos’altro alla gente di diverso rispetto alla musica che hanno estrapolato direttamente dallo ska, la stessa cosa vale per la Grime a Londra, zero voglia di imitare Los Angeles, bastava avere Fruity Loops sul pc a casa e tanta voglia di identificarsi in qualcosa. Il Mercury Prize quest’anno è stato vinto da Skepta, che ha cantato per un evento Nike davanti a dei ragazzetti di 16 anni a Milano poco tempo fa. Qualcosa significa. Forse è una direzione possibile in cui lavorare. E poi minchia quanto sono buone le zucchine di mio nonno, le metterei in una flebo.
Quali sono le serate più interessanti in questo momento nella zona? E a chi pensate di proporvi?
Parlando degli staff ormai rodati da anni Crispy continua a piacermi molto perché propone quello che ascolto o ho ascoltato molto tempo (da Robert Hood, a Shed/Head High,Donato Dozzy, Giorgio Gigli), diciamo che per me è un posto sicuro, una garanzia di bella musica, un locus amoenus. Tra gli staff nuovi qui in veneto invece i ragazzi di Flora Protection Unit, della quale ne conosco solo un paio in realtà, stanno facendo molto molto bene Con Madteo e Dj Sotofett per la data di apertura e ora con Fettburger per il 4 febbraio. Li apprezzo molto, soprattutto per il timing perfetto che hanno avuto nel proporre questo tipo di lo-fi. Per ora non pensiamo di proporci a nessuno, vediamo intanto quanto distante riusciamo ad andare da soli, poi magari alzeremo la testa!
Hai annunciato un “episodio 0” per il 28 gennaio in una location per ora top secret. Però conosciamo già i due nomi che avete selezionato, ovvero The Northern Scum e JTS1. Chi sono e perché secondo te hanno quel qualcosa in più da farci andare ad ascoltare la loro proposta musicale?
Lorenzo Mori (The Northern Scum) e Andrea Bernardi (JTS1) sono due ragazzi che ho conosciuto prevalentemente in Facebook ma dei quali vado molto fiero. Il primo va e torna dal Berghain come se fosse dietro casa sua, l’altro vive al Dude praticamente e ha la testa su Saturno, mi fa troppo ridere. Lorenzo è matto per la Techno, quella di Mad Mike, di Dj Hell, dei Drexciya. Andrea invece è più variegato, suona molte cose americane ma mischiate con la vecchia guardia inglese, prevalentemente un house music a bassa definizione e spesso completamente analogica che qui in Italia si riconosce molto in quello che sta facendo Bosconi, all’estero in Russian Torrent Versions e L.A Club Resource.
Avete già in mente altri nomi per le prossime serate? Come andrete a selezionare i posti dove suonare? Noi ci saremo se ci date le drink card.
Abbiamo già tutti i nomi di tutti, il collettivo è pronto ed i posti verranno svelati prossimamente. e si, raga, ci sbronziamo insieme, non c’è problema 😉
Avete una pagina web? Facebook? Dove i nostri lettori possono seguirvi e tenersi aggiornati sulle vostre attività?
Stiamo costruendo il sito che uscirà sicuramente prima della data zero del 28, per il resto la nostra pagina fb si chiama One Thousand Project, seguiteci lì!