Da qualche giorno gira in rete un servizio del Tg di Tele Dehon, dedicato al referendum costituzionale: una carrellata realizzata al mercato che raccoglie le opinioni e gli orientamenti dei cittadini sul voto. Per chi attende come manna dal cielo l’esito del 4 dicembre, sono 8 minuti da farsi il segno della croce dopo aver acceso una candelina al Santissimo Salvatore della Patria.
Montato ad arte o meno che sia, il filmato offre comunque uno spaccato abbastanza fedele del largo disorientamento nostrano, tra ‘non so’, ‘non ne capisco niente’, ‘non mi informo nemmeno perché sono solo chiacchiere’, ‘non mi interessa’, ‘lasciamo perdere’, ‘è un’altra fregatura’, ‘qualsiasi votazione è come se fosse niente’, ‘a che serve votare?’ ‘Bersani Bersani, io sono Bersani’, Renzi che diventa ‘Renzo’, facce imbarazzate e fughe dal microfono. Amen. Insomma, uno spot del Ni, nel senso di nichilismo.
La reazione facile di chi la sa lunga è abbastanza diffusa e scontata: si va dal ‘Che ignoranti! Che schifo!’, al più classico ‘Povera Italia!’, all’altrettanto in voga ‘Bisogna togliere il diritto di voto a queste persone!’.
In realtà, per quanti hanno a cuore la vicenda referendaria, il ‘video-choc’ della Tv del Cuore (così si definisce Tele Dehon), offre l’occasione non solo per capire che esistono immensi giacimenti di consenso abbandonati a loro stessi. Ma sopratutto per prendere atto che varrebbe la pena di dedicarsi in via prioritaria a questi serbatoi di incerti e disorientati. Perché, probabilmente, proprio da questi deriverà una parte fondamentale per la vittoria del SI’ o del NO.
La campagna referendaria è cosa molto semplice nel momento in cui partiti e comitati se la suonano e se la cantano tra loro, rivolgendosi a chi è già certo su cosa votare. Ed è molto comoda nel momento in cui ci si mette sotto l’ombrello del frontman che parla e propaganda per tutti (questo è evidente nel caso di Renzi e del SI’). Altra cosa è invece tentare di raggiungere, di mettersi in contatto quasi con spirito missionario, con queste terre di nessuno che si muovono per le strade e nei mercati rionali. Il referendum diventa l’occasione per sottoporre alla prova del nove la formula tanto cara a molti politici del ‘torniamo a fare politica in strada’.
Il processo di smantellamento delle organizzazioni politiche e della militanza impedisce di realizzare in modo organico quest’opera da missionari. Però, se invece di reagire al fenomeno dell’elettore ‘ignorante’ con la sdegnata puzza sotto il naso (vizio che rischia di colpire pesantemente il fronte del NO) da parte delle prime linee ci fosse la consapevolezza che vale la pena di tentare davvero il recupero fisico di un dialogo, di un ascolto con questa larga parte del Paese, forse la partita del referendum (e della politica) prenderebbe risvolti nuovi. Di cambiamento che non dipende esclusivamente dal leader di turno.