La velocità della politica abbatte il muro del suono: il boato nitido e liberatorio del cambiamento può trasformarsi in breve tempo in voce gracchiante, da megafono propagandistico, da potere ovattante.
Negli ultimi due anni Matteo Renzi ha sfondato ogni muro del suono. L’8 dicembre 2013 rottama definitivamente la vecchia guardia e conquista il PD, poi prosegue la marcia rivoluzionaria detronizzando Enrico Letta, si insedia a Palazzo Chigi, fa boom con gli 80 euro delle elezioni europee e con quella propulsione mette il turbo per mettere mano ad ogni riforma possibile: dalla scuola al lavoro, dal Senato alla legge elettorale.
Tiene stretto, in pugno, il doppio ruolo di Premier e leader di partito: trasforma il PD in un comitato centrale senza periferia, concentra in un solo luogo (la Direzione nazionale) consensi e dissensi. Ottiene mandati con votazioni bulgare che annichiliscono ogni dissidenza interna. Qualcuno esce, la desertificazione delle periferie prosegue e anche quando continuano ad esistere si riducono a banlieu tra bande di tesserati. Lui non si cura di ciò che accade altrove. Scarica altrove, lontano da sé, le sconfitte: da Livorno a Padova, dalla Liguria a Venezia e poi i gineprai devastanti di Roma con Marino e della Campania con De Luca. Spedisce al fronte i suoi colonnelli, da Orfini a Serracchiani. Loro eseguono, bacchettano. A Roma i consiglieri comunali vengono rinchiusi in una stanza per 8 ore e alla fine si dimettono. Per Napoli elaborano norme di primarie anti-candidatura Bassolino.
I ragazzi invecchiano velocemente.
In questi giorni Renzi raggiunge l’apice di un potere vecchio stampo: e mentre va a presentare l’ennesimo libro di Natale di Bruno Vespa, i militanti che restano vengono mandati a far banchetti nelle piazze, per propagandare le sue riforme. Le stesse, dalla scuola al lavoro, che non hanno saputo spiegare nelle campagne elettorali per le amministrative, ricevendo in cambio uova marce alle urne. Colpa loro, non di Renzi.
La Leopolda 6 rompe definitivamente il muro del suono: imbellettato con nuove facce giovani da esibire sul palco, il boato del cambiamento diventa litania della conservazione, ricolmo di trombettieri da fortino assediato.
Saviano o non Saviano, Travaglio o non Travaglio, visto da fuori, il crac delle banche – simbolo di un potere spregiudicato, senza limiti, che mette nel conto fisiologico ogni morto suicida – aleggia pesantemente su questa festa del potere renziano. Ma le richieste di dimissioni di Maria Elena Boschi sono un favore: nel giudicarle unanimemente sproporzionate (pure Bersani cade in trappola) si coglie la sordina perfetta per ovattare tutta la vicenda. O per mandare in avanscoperta vecchi tromboni alla Rondolino, produttore di vecchi editoriali da regime.
La stessa sordina, sbeffeggiante, viene messa nei confronti della stampa ‘nemica’. Quel sondaggio, proposto ai leopoldini, su quale sia il peggiore, il più falso titolo di giornale dedicato alle gesta del governo Renzi, simboleggia da solo tutta la dimensione di un passaggio compiuto a velocità siderale. Compiuto da chi ieri rottamava e oggi, rivendicando che ‘abbiamo abbattuto la gerontocrazia’, incorpora tutti i peggiori germi di un modo di gestire il potere.
Berlusconi o non Berlusconi che sia, Renzi è già vecchio.