“Uno de nialtri, un fio dea Zueca!”.
[/quote_colored]Da quel giorno le voci di Pino Musolino come nuovo presidente dell’Autorità portuale di Venezia hanno preso la via di una particolare transustanziazione: da ipotesi fantascientifica a verbo che si è fatto carne. Seguita con spasmodica speranza popolare, come si trattasse della liquefazione del sangue di San Gennaro.
Pochi giorni fa la sua nomina ha ricevuto tutti i crismi. Di parte ministeriale e del parlamento. E ora che si è compiuto il miracolo del ragazzo del popolo, insediatosi nella sacra trimurti cittadina accanto alle figure del Patriarca e del sindaco, non resta che attendere il suo arrivo da Singapore dove svolgeva il ruolo di manager.
Le polemiche sull’adeguatezza delle sue competenze sono questioni da addetti ai lavori, che passano in secondo piano rispetto alla simbologia non tecnica che Musolino si porta appresso.
Di fatto il ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, ha dato vita ad una nomina che ha assunto significati impossibili da cogliere tra le righe del curriculum o attraverso i colloqui via Skype che hanno fatto da viatico alla presidenza del ‘fio dea Zueca’ (o Gneca), l’isola che mostra la propria vetrina principale affacciandosi proprio su quel canale che da anni è teatro di transito delle grandi navi e di epiche contestazioni.
Nel curriculum che Delrio non poteva sfogliare, Pino Musolino, prima di essere veneziano, è un giudecchino: sinonimo di ‘schietto e onesto. E’ la parabola vivente di uno che si è fatto valere, studiando e lavorando. Uno tosto, capace. Uno di noi’. Sono queste le credenziali con le quali Musolino torna in ‘patria’ dopo anni di lavoro all’estero.
Non sono pochi coloro che vedono nella sua figura l’occasione di un riscatto cittadino, di un’ondata di aria fresca, pulita, dopo le pagine pestilenziali dello scandalo Mose e dei flop che questa realizzazione continua a far registrare in corso d’opera. Soprattutto, in Pino Musolino, molti vedono il profeta in grado di risolvere la questione grandi navi e di trovare una soluzione pulita, che non sia un calare le brache agli interessi di parte e che sia invece di piena tutela degli interessi, in primo luogo ambientali, della città e della sua laguna.
Si tratta di un carico di popolarità e attese molto pesante e, proprio per questo, insidioso. Va tenuto conto che la nomina di Musolino non è il prodotto di un consenso popolare, benché sia figura popolare. La sua, da oggi, è una figura tecnica, frutto di una decisione governativa e dunque legata a doppio filo con decisioni e linee che difficilmente potranno uscire dai confini di mediazione che spesso hanno ben poco di popolare.
Pensare, da parte di alcuni, di poter tirare di qua o di là la giacchetta della popolarità, nella convinzione di riuscire a sfruttare la carta Musolino per condizionare le decisioni sulla portualità, è un gioco che da un lato potrebbe sortire cocenti delusioni. E che, contemporaneamente, potrebbe mettere Musolino su un piano scivoloso, moltiplicatore di condizionamenti: col rischio di trovarsi alla fine crocifisso proprio da parte di quella città che (in modo sincero o strumentale) in questo momento lo sta santificando.
E’ probabilmente questo il nodo più spinoso, al di là delle capacità che avrà modo di dimostrare, che il nuovo presidente del porto potrebbe affrontare nel corso del suo mandato.
Lasciarlo lavorare con la dovuta attenzione ma senza un pop-pressing asfissiante (destinato ad incendiare ulteriormente un clima già caldissimo e che è nemico delle decisioni sagge per la città) è forse il modo migliore per accogliere questo figlio del popolo veneziano che si è fatto autorità.