La mostra su Vivian Maier al MAN di Nuoro, curata da Anne Morin e realizzata in collaborazione con diChroma Photography, è la prima in assoluto ospitata da un’Istituzione pubblica italiana. 120 fotografie, 10 filmati e una serie inedita di provini a contatto della “tata” più famosa d’America.
Chi era Vivian Maier? Potrebbe essere un giallo e in realtà è la storia di una straordinaria fotografa. Per vivere Vivian (New York, 1926 – Chicago, 2009) faceva la bambinaia per le famiglie benestanti di New York e Chicago negli anni Cinquanta e per oltre cinque decadi ha fotografato la vita nelle strade delle città in cui ha vissuto senza mai far conoscere il proprio lavoro. Nessuna mostra e nessuna pubblicazione.
Cosa è rimasto di questa figura misteriosa? un archivio sterminato, con più di 150.000 negativi, una miriade di pellicole non sviluppate, stampe, film in super 8 o 16 millimetri, registrazioni, appunti e altri documenti di vario genere che la tata “francese” (la madre era originaria delle Alpi provenzali) accumulava nelle stanze in cui si trovava a vivere, custodendo tutto con grande attenzione.
La storia intera della vita di una grande fotografa era confinata in un magazzino, confiscato nel 2007 per il mancato pagamento dell’affitto, e ritrovato per un caso fortuito da John Maloof un giovane agente immobiliare e appassionato di collezionismo.
Affascinato da alcuni negativi trovati ad una casa d’aste di Chicago a 400 dollari, John si era messo messo sulle poche tracce di Vivian. E’ grazie al suo lavoro di ricerca che la storia della fotografia cambiò, e una parte venne ritrascritta. Fu l’inizio di una nuova storia per Vivian, la fotografa, su cui molto rimane ancora da dire.
“Di Vivian Maier, afferma Lorenzo Giusti, Direttore del MAN, si parla oggi come di una grande fotografa del Novecento, da accostare ai maestri del reportage di strada, da Alfred Eisenstaedt a Robert Frank, da Diane Arbus a Lisette Model. (…) Delle opere di Vivian Maier non colpisce soltanto la capacità di osservazione, l’occhio vigile e attento a ogni sensibile variazione dell’insieme, l’abilità di composizione e di inquadramento. Ciò che più impressiona è la facilità nel passare da un registro all’altro, dalla cronaca, alla tragedia, alla commedia dell’assurdo, sempre tendendo saldamente fede al proprio sguardo. Una voce rimasta per molto tempo fuori dal coro, ma senza dubbio ben accordata”.
Vivian Maier scattava perlopiù nel tempo libero; i suoi soggetti prediletti sono stati le strade e le persone, più raramente le architetture, gli oggetti e i paesaggi.
Con una “democraticità dello sguardo” innata fotografava piccole-grandi storie senza apparente importanza. Fotografava tutto ciò che le colpiva, che fosse strano, insolito, degno di nota, o la più comune delle azioni quotidiane. Quasi come fosse una spia osservava e registrava “gli altri”, sconosciuti e anonimi, e erano “gli altri” a divenire parte del suo mondo, pur a dovuta distanza. In questa indagine senza fine talvolta coinvolgeva anche i bambini che le venivano affidati, costringendoli a seguirla in giro per la città, in zone spesso degradate di New York o di Chicago. A uno sguardo sensibile e benevolo per gli umili, gli emarginati, univa una vena sarcastica, evidente in molti scatti rubati, che colpiva un po’ tutti, dai ricchi borghesi dei quartieri alti agli sbandati delle periferie.
Partendo dai materiali raccolti da John Maloof la mostra fornisce una visione d’insieme dell’attività di Vivian Maier ponendo l’accento su elementi chiave della sua poetica, come l’ossessione per la documentazione e l’accumulo, fondamentali per la costruzione di un corretto profilo artistico, oltre che biografico.
Insieme a 120 fotografie tra le più importanti dell’archivio di Maloof, catturate tra i primi anni Cinquanta e la fine dei Sessanta, la mostra presenta anche una serie di dieci filmati in super 8 e una selezione di immagini a colori realizzate a partire dalla metà degli anni Sessanta. Privi di tessuto narrativo e senza movimenti di camera, i filmati fanno chiarezza sul suo modo di approcciare il soggetto, fornendo indizi utili per l’interpretazione del lavoro fotografico. Gli scatti degli anni Settanta raccontano invece il cambiamento di visione, dettato dal passaggio dalla Rolleiflex alla Leica, che obbligò Vivian Maier a trasferire la macchina dall’altezza del ventre a quella dell’occhio, offrendole nuove possibilità di visione e di racconto.
La mostra è arricchita da una serie di provini a contatto, mai esposti in precedenza, utili per comprendere i processi di visione e sviluppo della fotografa americana.
Curiosissimi i selfies ante-litteram di Vivian: numerosi gli scatti in cui la fotografa appare divenedo lei stessa parte del racconto, una Vivian comunque mai del tutto rivelata ma sempre a frammenti, come se, ancora una volta, per cogliere la sua persona dovessimo ricostruire i riflessi del volto su un vetro, la proiezione dell’ombra sul terreno, la sua silhouette nel perimetro delle immagini, quasi sempre spezzate da ombre o riflessi.
Vivian Maier Street Photographer
MAN Museo, Nuoro
10.07 – 18.10.2015